In Italia ancora 25mila rom nei campi. Dopo Torre Maura si temono “focolai di pogrom”
“Negli ultimi anni c’è stata una graduale contrazione numerica della presenza dei rom dovuta al ritorno in patria volontario di numerose famiglie o a causa del mutato clima politico” e un aumento degli sgomberi forzati: sono stati 195 nel 2018 (di cui 40 a Roma) e già 20 nei primi tre mesi del 2019 solo a Roma: è quanto emerge dal rapporto “I margini del margine” curato dall’Associazione 21 luglio e presentato al Senato e alla Camera dei deputati insieme ad Amnesty international, in occasione della Giornata internazionale per i diritti dei rom
In Italia sono circa 25mila le persone rom che vivono in baraccopoli istituzionali e in baraccopoli informali, pari allo 0,04% della popolazione italiana. Gli insediamenti formali sono 127, presenti in 74 Comuni. Al loro interno vivono circa 15 mila persone, più della metà sono minori, circa il 45% ha la cittadinanza italiana. A Roma, alla fine del 2018 risultavano 6.030 rom e sinti in emergenza abitativa, pari allo 0,20% della popolazione romana. Negli insediamenti informali – solo a Roma se ne contano quasi 300 – vivono 1.300 rom e 10.000 cittadini rumeni e, in minima parte, bulgari. “Negli ultimi anni c’è stata una graduale contrazione numerica dovuta al ritorno in patria volontario di numerose famiglie o a causa del mutato clima politico” e un aumento degli sgomberi forzati: sono stati 195 nel 2018 (di cui 40 a Roma) e già 20 nei primi tre mesi del 2019 solo a Roma: è quanto emerge dal rapporto “I margini del margine” curato dall’Associazione 21 luglio. Il rapporto è stato presentato oggi sia al Senato, sia in una conferenza stampa alla Camera dei deputati insieme ad Amnesty international, in occasione della Giornata internazionale per i diritti dei rom. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha anche conferito una medaglia all’associazione per la stesura del rapporto, che spetterebbe invece alle istituzioni. Nonostante nel 2012 l’Italia abbia stilato una Strategia nazionale per l’inclusione dei rom, “ad oggi quasi totalmente inapplicata”, si continua in “una gestione emergenziale e securitaria della questione”. Nel 2018 l’Osservatorio 21 luglio ha anche registrato un totale di 125 episodi di discorsi d’odio nei confronti di rom e sinti, di cui 38 di una certa gravità. “Dopo Torre Maura – denuncia l’Associazione 21 luglio si temono in Italia focolai di pogrom contro i rom”.
Amnesty, un ricorso all’Europa per la situazione abitativa. Amnesty international ha presentato un ricorso al Comitato europeo dei diritti sociali per denunciare lo “scandalo della situazione abitativa dei rom in Italia”. “L’Italia sta violando diversi articoli della Carta sociale europea – ha denunciato Elisa De Pieri, ricercatrice di Amnesty -, per i diffusi sgomberi forzati, il continuo uso di campi segregati con condizioni abitative al di sotto degli standard ed il mancato accesso secondo criteri di uguaglianza all’edilizia sociale. E’ sconcertante come tutte le autorità concordino sul superamento dei campi ma nessuno è in grado di trovare soluzioni, se non l’ennesimo campo segregato”.
Roma, “Torre Maura è un precedente molto pericoloso”. “Temiamo che quanto accaduto a Torre Maura possa rappresentare un precedente estremamente pericoloso: è stata tollerata una manifestazione con esponenti di estrema destra, che per due giorni hanno lanciato frasi razziste e minacce.
Una scintilla fa prestissimo a propagarsi e a diventare un focolaio. L’episodio di stamattina a Casal Bruciato lo dimostra.
Il linguaggio politico diventa poi benzina sparsa che rischia di diventare un incendio”. Lo ha affermato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, che si è detto preoccupato della possibilità che il governo invochi una “emergenza nomadi”: “Dichiarare una emergenza vuol dire considerare i rom pericolosi quanto una catastrofe naturale. Tecnicamente implica lo stanziamento di tanti soldi, la nomina di un Commissario straordinario e la possibilità di operare in deroga alle leggi, in un sistema amministrativo altamente lesivo dei diritti umani. Si sta già ricreando lo stesso clima: il ministro dell’interno ha annunciato di voler inviato 39 militari a Roma per la sorveglianza dei campi. Alcuni militari sono già nei campi di via Salviati, Castel romano e Salone”. Preoccupano anche gli effetti del decreto sicurezza e immigrazione: “Con l’abolizione del permesso umanitario entro il 2020 un migliaio di rom provenienti dalla ex-Jugoslavia si ritroveranno in situazione di irregolarità”. Riguardo ai fatti di Torre Maura il deputato Riccardo Magi ha poi denunciato la necessità “di fare chiarezza sulla pessima gestione dell’ordine pubblico. Di solito le questure sono molto attente e caute a non creare criticità in occasione di manifestazioni: stavolta abbiamo visto esponenti politici gridare minacce ai bambini rom e modi violenti sotto gli occhi delle forze dell’ordine. Questo non è ammissibile e crea uno squilibrio in un Paese democratico. Le minacce per legge devono essere perseguite”.
Superare i campi è possibile. Alcune amministrazioni comunali italiane stanno invece dimostrando che favorire l’inclusione dei rom è possibile.
A Sesto Fiorentino, a Lamezia Terme, a Palermo e Moncalieri ci sono già esperienze di superamento dei campi.
“Ci siamo occupati di una quarantina di persone rom tenendo a mente due principi: la dignità della persona e la legalità – ha spiegato al Sir Silvia De Crescenzo, assessore alle politiche sociali del Comune di Moncalieri, 60mila abitanti vicino a Torino -. In questo modo si può vincere una battaglia che sembrava impossibile. Abbiamo realizzato un’area attrezzata in cui hanno vissuto per un anno le persone con un titolo di soggiorno regolare. Abbiamo profilato gli anziani, i disabili, i bambini, le famiglie con adulti in difficoltà. Ciascuno ha potuto mettere in campo le proprie fragilità o potenzialità. Ci siamo detti che quell’esperienza doveva durare solo 12 mesi e così è stato: l’area è stata chiuso a maggio 2018. In 12 mesi abbiamo personalizzato il percorso di uscita dai campi, famiglia per famiglia, e quell’area è stata smontata. Addirittura i container acquistati dall’amministrazione sono stati messi a disposizione delle associazioni del territorio”. A distanza di un anno si sono resi conto che “funzionano gli insediamenti abitativi diffusi nel territorio e non mettere dieci famiglie in uno stesso condominio”. Gli anziani vivono nelle case di riposo, invece i bambini, tutti inseriti a scuola, vengono seguiti per migliorare il rendimento scolastico. “Crediamo che sia un modello replicabile anche a livello nazionale se si attiva una giusta collaborazione con le forze dell’ordine – ha precisato -. Abbiamo anche noi le nostre periferie, sicuramente occorre evitare la messa in competizione tra gli ultimi sull’accesso alla casa, promuovendo progetti di housing sociale ed edilizia popolare. E bisogna avere una chiara volontà politica”.