Imprese, il 20,7% adotta misure per valorizzare le diversità

Rapporto Istat-Unar.  Coinvolte il 34% delle imprese di grandi dimensioni a fronte del 19,8% delle imprese più piccole. La legge Cirinnà applicata in un terzo delle più grandi

Imprese, il 20,7% adotta misure per valorizzare le diversità

Nel 2019 oltre un quinto delle imprese (il 20,7%, pari a oltre 5.700 unità) ha adottato almeno una misura, non obbligatoria per legge, con l'obiettivo di gestire e valorizzare le diversità tra i lavoratori legate a genere, età, cittadinanza, nazionalità e/o etnia, convinzioni religiose o disabilità. E' quanto emerge dal rapporto Istat e Unar.

L'applicazione di tali misure coinvolge il 34% delle imprese di grandi dimensioni (con almeno 500 dipendenti), a fronte del 19,8% delle imprese più piccole (50-499 dipendenti).

La maggiore attenzione delle imprese più grandi verso misure di diversity si conferma in tutti gli ambiti: le misure di DM che riguardano la disabilità e il genere sono implementate in media dal 15,9% e dal 12,7% delle imprese, tra quelle di maggiori dimensioni (con 500 e più dipendenti), tali percentuali superano il 25%. Lo stesso accade per le misure legate alle diversità per età (10,4%), cittadinanza, nazionalità e/o etnia (9,7%) e alle convinzioni religiose (9%) che nelle imprese più grandi sono state adottate rispettivamente nel 19,5%, 16,3% e 12% dei casi. Tra le imprese con almeno 50 dipendenti l'8,3% ha introdotto misure in un solo ambito di diversity, il 7% in tutti e cinque gli ambiti indagati.

La legge Cirinnà applicata in un terzo delle imprese più grandi

La legge 76/2016 (cosiddetta Cirinnà) è stata concretamente applicata in un terzo delle imprese più grandi. E' quanto emerge dal rapporto Istat e Unar, in cui viene rilevato che le richieste hanno interessato circa un'impresa su tre fra quelle con almeno 500 dipendenti, contro il 6% delle imprese con 50-499 dipendenti. La legge che ha introdotto l'istituto dell'unione civile, prevede che i datori di lavoro si adeguino ad esempio con congedo equiparabile a quello previsto in caso di matrimonio, obbligo di estensione alle parti dei congedi e permessi previsti dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva per esigenze familiari di assistenza.

Mentre tutte le imprese sono state chiamate a recepire le disposizioni contenute nella legge, solamente il 7,7% di quelle con almeno 50 dipendenti dell'industria e dei servizi (pari a oltre duemila) si è trovato nelle condizioni concrete di applicare su richiesta dei lavoratori quanto previsto dalla legge.

Il 43,5% delle imprese dichiara di aver concesso il congedo matrimoniale a seguito dell'unione civile, il 37,1% ha gestito una sola richiesta, il 6,4% più di una richiesta. Tra le imprese più grandi le richieste multiple hanno riguardato il 18,9%. Solamente il 22,2% delle imprese con almeno 50 dipendenti ha dichiarato di non aver ricevuto richieste di congedo matrimoniale.

Le imprese con almeno 500 dipendenti che hanno dichiarato di essersi trovate ad applicare la legge Cirinnà sono relativamente più frequenti nel Centro (37,6%) e al Nord (34,9%). L'applicazione ricorre più spesso tra le imprese che hanno un'età compresa tra 12 e 31 anni (35,5%). Il fenomeno è inoltre maggiormente diffuso nel settore dei servizi dove tra le imprese più grandi, in cui mediamente si arriva al 33,1%, raggiunge il 35%, seguito dal 30,7% per l'industria. (DIRE)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)