Il negozio sparito. Il piccolo commercio in Italia è in crisi, e lo avevamo già notato tutti

Nelle città, fuori dalle classiche vie dello shopping è sempre più facile vedere serrande abbassate

Il negozio sparito. Il piccolo commercio in Italia è in crisi, e lo avevamo già notato tutti

Non è tanto una questione di numeri, che variano a seconda degli intervalli di tempo presi in considerazione, ma che comunque sono veramente spaventosi. È che la normale alternanza tra aperture e chiusure di negozi – di questo si tratta – è completamente saltata: ogni quattro serrande abbassate, ne riaprono solo tre. Da anni, e sempre di più.

Insomma il piccolo commercio in Italia è in crisi, e lo avevamo già notato tutti. Nei borghi sotto i 3mila abitanti non si vede un solo negozio aperto; in quelli più grandi resistono certe merceologie (poche), ma il ricambio è appunto andato in tilt; nelle città, fuori dalle classiche vie dello shopping è sempre più facile vedere serrande abbassate. E i cartelli “vendesi” o “affittasi” ormai hanno fatto la muffa.

Due le cause: l’arrivo 25 anni fa dei grandi centri commerciali, che hanno raggruppato migliaia di botteghe in spazi ben precisi e interamente dedicati allo shopping; l’arrivo una decina d’anni fa dell’e-commerce, da Amazon in giù: botteghe virtuali nelle quali l’acquisto si fa da casa, via computer.

Tutto ciò ha portato ad un cambiamento di abitudini (la “gita” al centro commerciale) e a saltare piè pari la catena intermedia del negozio fisico “all’aperto”. Un po’ di risparmio per i consumatori, parcheggi più facili per il pomeriggio passato dentro luoghi dedicati e non tra le vie cittadine.

Ma le conseguenze negative sono decisamente peggiori: tantissimi posti di lavoro spariti; tanti immobili lasciati chiusi o trasformati in depositi o garage; soprattutto la trasformazione di interi conglomerati urbani in dormitori senza servizi commerciali: uno scadimento della qualità della vita per chi li abita; un vero problema per le persone con problemi motori come i più anziani.

In più, una considerazione politico-economica: la concentrazione del commercio e il suo spostamento su internet hanno reso ricchissime poche persone (o magari multinazionali lontanissime sia fisicamente, sia dal pagare le tasse qui), concentrando su di esse quella ricchezza un tempo suddivisa tra migliaia e migliaia di commercianti e addetti.

Il processo appare irreversibile, anche perché – ripeto – accompagnato da un irreversibile cambiamento delle abitudini. La riapertura di un negozio in un quartiere dà un servizio in più, ma non può competere con l’offerta strabordante dei centri commerciali. Laddove girano ventimila potenziali clienti alla settimana, e non i 200 scarsi del quartiere o del paese.

Ultima ciliegina amara sulla torta: pure i centri commerciali sono ormai troppi, quindi in concorrenza tra loro. E quello che vede calare gli ingressi (magari perché più decentrato o più vecchiotto o con meno servizi collaterali), vede poi chiudere le prime vetrine, in una spirale che a sua volta disincentiva il consumatore ad andarci. Alla fine e molto rapidamente, è l’intero centro commerciale con le sue decine di negozi a chiudere bottega. Per sempre.

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Fonte: Sir