Elezioni ad Hong Kong. Sisci: “Si è rotto il patto di fiducia e ricucirlo non sarà facile”
“Quello di cui c’è bisogno oggi più che mai è ritrovare un modo di riconciliare la differenza tra il sentire della Cina popolare e il sentire della gente di Hong Kong e di Taiwan. Questo è il problema. Non si tratta di schierarsi con Hong Kong o contro Hong Kong. Dato che il papa ha questo dono della parola giusta e lo ha dimostrato tante volte e in diverse occasioni, credo che riuscirà anche ora a trovare parole pastorali, di cuore, di profondità che aiutino i cinesi a riconciliarsi con sé stessi”. Parla Francesco Sisci, uno dei maggiori sinologi italiani
“La gente ha votato sostanzialmente contro il governo attuale e a favore delle proteste, e questo è un segnale estremamente significativo. Si tratta di un voto che rivela il vero punto della questione: dopo mesi di manifestazioni, si è rotto il patto profondo tra la gente e il governo di Hong Kong”. Da Pechino, Francesco Sisci, uno dei maggiori sinologi italiani, autore della prima e quindi storica intervista a Papa Francesco sulla Cina, commenta i risultati delle elezioni distrettuali di Hong Kong nelle quali i candidati anti-governativi hanno conquistato quasi il 90% dei seggi (390 sui 452), assestando un duro colpo alla governatrice Carrie Lam e al governo centrale di Pechino. Il governo di Hong Kong ha promesso dal canto suo di ascoltare “con umiltà le opinioni dei cittadini” e di riflettere “con serietà”. “Si apre adesso una fase molto delicata”, osserva subito Sisci, “perché queste votazioni, se da una parte non cambiano di fatto nulla nella politica di Hong Kong, dall’altra sono un segnale molto forte.
Dimostrano che a sei mesi dalle proteste, nonostante le violenze, nonostante tutte le fatiche che ha sopportato la città, nonostante il danno anche sull’economia, la città si è schierata con i dimostranti e contro il governo”
Quanto le proteste e soprattutto la violenza della polizia contro i dimostranti hanno influito su questo voto?
Abbiamo assistito a tanta violenza anche da parte dei protestanti, che sono andati e che vanno ‘preparati’ allo scontro. La loro azione non è casuale. Usano armi letali, come archi e frecce, bottiglie molotov, ci sono stati accoltellamenti. C’è stata poi anche tanta violenza da parte della polizia, ma dobbiamo riconoscere che questa, in larga parte, è stata tutto sommato abbastanza contenuta.
Perché allora la gente si è schierata a favore della protesta?
Perché evidentemente si è rotto un patto profondo tra le persone e il governo di Hong Kong. La gente nutre profonda sfiducia nel governo di Hong Kong. Questo è il punto forse più interessante della questione: la rottura. Recuperare questo rapporto non è facile, non lo sarà in futuro.
Da Pechino ci può dire quali ripercussioni stanno avendo le proteste di Hong Kong nella regione?
Partiamo dalle elezioni presidenziali di Taiwan che ci saranno il prossimo 11 gennaio. Qui sei mesi fa, la presidente uscente Tsai Ing-wen, poco amata da Pechino perché una promotrice di una politica di autonomia, era già in difficoltà. Questi sei mesi di proteste ad Hong Kong sono state una straordinaria campagna a suo favore tanto che ad oggi è di gran lunga in testa ai sondaggi di opinione. Detto questo, bisogna però aggiungere che le proteste di Hong Kong non hanno invece contagiato Macao, né si sono allargate nelle città vicine, malgrado vedere e capire quello che stava succedendo ad Hong Kong fosse accessibile a tutti e in tempo reale. Questo vuol dire che la gente della Cina popolare è rimasta soddisfatta da come Pechino abbia gestito tutta la situazione.
Cosa significa?
Che gli stessi eventi hanno effetti molto diversi nei diversi bacini elettorali. Significa che c’è una spaccatura tra le sensibilità: da una parte Hong Kong, dall’altra la Cina popolare. Questo è il problema più triste e radicale: la spaccatura di sensibilità nel cuore della Cina. Ricostruire un tessuto che è stato strappato non sarà facile.
Il Papa in questi giorni è in Giappone. Può dire qualcosa su Hong Kong e quale parola si attende?
Io spero di sì. Lui ha questo dono, direi divino, di trovare parole vere, pastorali, adatte alle situazioni delicatissime. Quello di cui c’è bisogno oggi più che mai è ritrovare un modo di riconciliare la differenza tra il sentire della Cina popolare e il sentire della gente di Hong Kong e di Taiwan. Questo è il problema. Non si tratta di schierarsi con Hong Kong o contro Hong Kong. Dato che il Papa ha questo dono della parola giusta e lo ha dimostrato tante volte e in diverse occasioni, credo che riuscirà anche ora a trovare parole pastorali, di cuore, di profondità che aiutino i cinesi a riconciliarsi con se stessi, a ritrovare un modo di stare insieme, dimostranti e governo, gente che protesta e forze dell’ordine. Non dobbiamo mai dimenticarci che dietro ad ogni barricata ci sono delle persone, non macchine. Ripeto, il problema non è schierarsi a favore o contro le manifestazioni. Certamente ci sono delle ragioni e delle ferite profonde, anzi profondissime ad Hong Kong che vanno affrontate, però bisogna trovare il modo di riconciliarsi, non di approfondire la spaccatura e in questo, sono sicuro, il Papa riuscirà a trovare le parole che aiutino le parti a capirsi.