Egitto, scarcerati 530 detenuti. “Patrick è malato, dev’essere rilasciato”
Dopo che Al-Sisi ha annunciato il provvedimento per decongestionare le carceri, si teme che lo studente egiziano dell’Università di Bologna non sia tra i detenuti graziati. Noury (Amnesty International): “Il governo dia un segnale forte: la strategia di condiscendenza e amicizia verso l’Egitto non ha portato finora a alcun risultato”
“Questo è un momento chiave. Se Patrick non sarà incluso nella lista dei detenuti a cui verrà concessa la grazia, l’Italia dovrà aprire gli occhi: la strategia di condiscendenza e amicizia verso il governo egiziano non ha portato alcun risultato, né nella ricerca della verità sul caso Regeni, né per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani nel Paese”. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, non ha dubbi: dopo che il governo egiziano ha annunciato la scarcerazione di 530 detenuti per decongestionare le carceri durante la pandemia, è questo il momento di agire per chiedere il rilascio di Patrick Zaky, lo studente egiziano dell’università di Bologna in carcere dal 7 febbraio. Dai primi dettagli sul provvedimento di grazia, però, emergerebbe che questo riguarderà solo detenuti che hanno già scontato parte della pena, dunque si teme che Patrick non sia incluso. Anche perché, nel frattempo, l’udienza per la sua liberazione è stata rinviata al 12 luglio.
“Quello che sappiamo è che Patrick soffre di asma bronchiale e nel carcere di Tora, dov’è rinchiuso, è arrivato il Covid – continua Noury –. Il governo italiano ha sempre detto di star monitorando la situazione, ma oggi non c’è tanto da osservare, c’è da fare urgentemente: quello che potrebbe succedere è che escano dalle carceri ladri, corrotti, criminali comuni, magari anche assassini, e restino dentro prigionieri innocenti o in attesa di giudizio. I primi a dover essere liberati dovrebbero essere gli ammalati e gli innocenti, e Patrick è l’una e l’altra cosa”.
Nel frattempo continuano a intensificarsi i rapporti tra Italia e Egitto, in particolare dopo che il governo Conte ha accordato la vendita di due fregate Fremm e altri armamenti al regime di Al-Sisi, dando il via alla cosiddetta “commessa del secolo”. Il totale è di 9 miliardi di euro: si tratta del maggior contratto mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra, che rende oggi l’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani. “Conte sostiene che, per arrivare alla verità per Giulio Regeni, sia necessario continuare a mantenere buoni rapporti con il governo di Al-Sisi, ma gli ultimi anni ci insegnano che non è così: anche se si sono intensificate le relazioni tra i due paesi, non è stato raggiunto alcun risultato e non c’è reale volontà di collaborazione nelle indagini sulla morte di Giulio – afferma Noury – . Prova ne è anche il fatto che gli oggetti personali di Regeni che il Cairo ha inviato a Roma pochi giorni fa alla fine si sono rivelati non suoi. Ora staremo a vedere come andrà l’incontro tra le due procure previsto per il primo luglio: ahimè non ci aspettiamo grandi novità”.
Per parlare della situazione oggi in Egitto e delle violazioni perpetrate dal regime di Al-Sisi, domani alle 18.30 Riccardo Noury sarà ospite dell’evento online “Egitto, parte di noi”: oltre a lui sarà presente anche il coordinatore della Rete italiana per il disarmo Francesco Vignarca, la giornalista Paola Caridi e le ricercatrici Elisabetta Brighi e Daniela Melfa, co-autrici del libro Minnena. L'Egitto, l'Europa e la ricerca dopo l'assassinio di Giulio Regeni. “È venuto il momento per l’Italia di dare un segnale di malcontento e insoddisfazione – conclude Noury –. Non possiamo far vedere che va sempre tutto bene: dobbiamo bloccare la vendita di armi, smettere di fare formazione alle forze di polizia egiziane, sospendere gli accordi di rimpatrio, visto che l’Egitto si è rivelato un paese non sicuro. E se Patrick non dovesse figurare nella lista dei detenuti a cui viene concessa la grazia, il ritiro dell’ambasciatore è un’ipotesi da prendere assolutamente in considerazione”.
Alice Facchini