Egitto: giornalisti Fisc nell’ospedale di Port Said dove curando si insegnano il dialogo e la convivenza
Continua il viaggio dei giornalisti della Fisc in Egitto. Ieri incontro a Ismailia con il vescovo mons. Tewfik e visita all'ospedale cattolico di Port Said, dove la Cei ha finanziato l'acquisto del blocco delle terapia intensiva e neonatale
“Il popolo italiano è nostro amico. Siamo grati alla Cei per il sostegno spirituale, culturale e caritativo che ci dona e che ci fa sentire parte della Chiesa universale”: con queste parole mons. Makarios Tewfik, vescovo di Ismailia, ha accolto il gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidato dal presidente don Adriano Bianchi, in questi giorni in Egitto per conoscere alcuni dei progetti di solidarietà finanziati dalla Cei con i fondi dell8x1000. Dopo il Cairo, ieri è stata la volta delle città di Ismailia, sede dell’omonima eparchia copto-cattolica, e di Port Said. Posta sulla riva occidentale del Canale di Suez, a circa 200 km dalla capitale egiziana, Ismailia è il capoluogo del governatorato omonimo e la sua diocesi comprende anche la nota località turistica di Sharm el-Sheikh e la penisola del Sinai dove sono ancora attive alcune cellule jihadiste affiliate al sedicente Stato Islamico (Daesh).
L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dei cristiani in Egitto che, nonostante gli attentati e le stragi, l’ultima è del 2 novembre scorso, “sembra migliorare”. Due, ha spiegato il vescovo, le piste seguite dalle Istituzioni: “garantire piena cittadinanza a tutti gli egiziani appartenenti alla minoranza cristiana ed evitare le derive integraliste e fondamentaliste in ambito islamico”.
Si lavora anche per eliminare le discriminazioni contro i cristiani specialmente nella vita pubblica: “a settembre il presidente Al Sisi e il Governo hanno nominato due cristiani, un uomo e una donna, governatori rispettivamente di Mansura capoluogo del governatorato di Dakahliyya e di Damietta. Si tratta di un passo importante nella giusta direzione”. Positivi sviluppi, secondo mons. Tewfik, anche per le nuove chiese con norme che ne facilitano la costruzione e la ristrutturazione.
Non sembra nemmeno pesare alla comunità cristiana la presenza, davanti tutte le chiese cristiane di forze di polizia, esercito e metal detector. È così anche davanti l’episcopio di Ismailia. “Lo scopo è quello di evitare attentati – ha dichiarato il vescovo copto-cattolico – per i nostri fedeli una misura normale, sin dai tempi dell’ex presidente Hosni Mubarak. Tanti fedeli sono morti martiri in attentati portati alle chiese dai terroristi.
Il martirio è il compimento e la misura della nostra fede.
Morire martire è assicurarsi la vita eterna. La nostra chiesa è una chiesa di martiri”. Ma c’è un altro fronte che si sta aprendo per la Chiesa locale: “è il progressivo allontanamento dei giovani dal valori evangelici trasmessi dalla famiglia. I giovani sono sempre più attiratati dallo stile di vita occidentale veicolato dai media e dai social. Anche per questo motivo molti di loro lasciano il Paese per non tornare più”. La risposta della Chiesa punta tutto sull’istruzione e l’educazione.
“Il nostro punto di forza – ha sottolineato mons. Tewfik – è rappresentato dalle scuole, le migliori di tutto l’Egitto, e per questo frequentate dai figli dei massimi responsabili civili e politici.
Ne abbiamo 18, due gestite direttamente dalla diocesi. Durante i periodi più bui della persecuzione abbiamo avuto nostri ex alunni, oggi nei ruoli dello Stato, che hanno sempre difeso la nostra missione e valorizzato la nostra presenza. Ci sono poi gli ospedali dove curiamo tutti i più bisognosi senza guardare a fede e etnia. Quello di Port Said è l’unico ospedale cattolico nella parte orientale dell’Egitto”.
Ed è a Port Said che i giornalisti, tutti vincitori del concorso “8×1000 senza frontiere”, promosso dalla Fisc e dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei, hanno fatto tappa per partecipare all’inaugurazione del nuovo centro di neonatologia e di terapia intensiva (6 posti) dell’ospedale “Notre Dame de la Delivrande”, finanziato dalla Cei. Tra le apparecchiature in dotazione anche sei incubatrici. A tagliare il nastro don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo e padre Hanna Tewfik che coordina il nosocomio con le suore di Maria Bambina. “Nel nostro ospedale vengono tante persone – ha spiegato il sacerdote – arriviamo a fare anche 50 visite al giorno, per la gran parte sono musulmani. Prestiamo cure a tutti senza differenze. Coloro che non possono pagare sono circa il 10% dei pazienti. Con il restante 90% di paganti riusciamo ad andare avanti garantendo i servizi. Quello di neonatologia e ginecologia è molto apprezzato. Qui da noi tante donne velate vengono a partorire perché hanno molta fiducia nelle suore che vi lavorano. Eseguiamo circa 40 parti al mese”. La maggioranza dei medici, 55, e degli infermieri, 50, dell’ospedale è di fede musulmana e, per il sacerdote, “questo si innesta negli ottimi rapporti di convivenza che ci sono in città e in generale nella diocesi. Curando insegniamo a convivere”. Adesso lo sguardo è rivolto al futuro, vale a dire all’ampliamento e alla ristrutturazione del nosocomio.
“Confidiamo nella generosità dei nostri fratelli italiani – ha dichiarato padre Tewfik – noi non abbiamo nulla da donare in cambio se non la preghiera. Solo così potremo essere strumenti di bene nella Chiesa e per il popolo più povero e bisognoso”.