Editing genetico. Gambino (Scienza & Vita): “Sì a nuove terapie, no a ‘potenziamento’ dell’essere umano”
Oggi a Roma esperti di bioingegneria, medicina, genetica e bioetica a confronto sul tema scottante e urgente del genome editing tra potenzialità e rischi. Nuove possibilità terapeutiche per patologie fino ad oggi incurabili o "potenziamento" genetico dell'essere umano? Intervista a tutto campo con Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, che ribadisce il no assoluto alla manipolazione/distruzione di embrioni e la necessità di informare l'opinione pubblica e argomentare con chiarezza e competenza
Esperti di bioingegneria, medicina, genetica e bioetica a confronto oggi a Roma sulle più recenti tecniche di ingegneria genetica tra opportunità e rischi, nuove possibilità terapeutiche e pericolose fughe in avanti. Quest’anno l’Associazione Scienza & Vita ha scelto di dedicare all’editing genetico, ossia alla possibilità di modificare la sequenza del Dna delle nostre cellule, il convegno nazionale che ogni anno si svolge a fine maggio nella capitale. Un tema non più ineludibile, e sbaglia chi lo ritiene per specialisti e addetti ai lavori perché anche su questo nodo cruciale si gioca l’identità della persona e il futuro dell’umanità. Nel suo saluto all’incontro, mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, ha sottolineato la necessità di una seria valutazione etica sulle differenti applicazioni dell’editing genetico, ha messo in guardia dal rischio di “farsi prendere la mano dalla ricerca” in nome di “un modello idealizzato di perfezione” e ha affermato che “come cristiani siamo chiamati ad abitare questi mondi recando il nostro apporto positivo, cosciente e competente”.
“Non si tratta di un tema solo per addetti ai lavori”, conferma al Sir il presidente nazionale dell’associazione AlbertoGambino a margine del convegno. “Abbiamo voluto anzitutto fotografare lo stato dell’arte e mettere a fuoco ciò che ci sta facendo ascoltando la voce di genetisti e scienziati di altissimo profilo che lavorano sul campo. Ci interessa conoscere la realtà, sfatare i falsi miti e sapere quando si potrà arrivare ad una serie di modifiche del Dna che potrebbero aprire scenari apparentemente migliorativi sull’essere umano ma anche presentare profili problematici. Un’analisi dal punto di vista scientifico per poter valutare se questa tecnica rispetti criteri di salvaguardia della vita e della salute per noi imprescindibili. Vita intesa a 360 gradi: non solo cellule ma tutto lo sviluppo dell’essere umano in senso antropologico ieri, oggi e domani.
Quale la posta in gioco?
In questo ambito si sperimenta molto anche sugli embrioni. Alcune sperimentazioni, proprio nell’ottica di sviluppare un essere umano potenzialmente “esente” dal rischio di incappare in alcune malattie, non si conducono intervenendo su cellule e tessuti di un soggetto che ha già generato una certa patologia, bensì sull’embrione, e non per curarlo. Sappiamo che ciò richiede – come con le cavie animali – l’utilizzo di un numero elevato di embrioni e ne comporta la distruzione. Per noi questo è inammissibile. Prima ancora di una valutazione etica sull’eventuale creazione di un superuomo e sul futuro dell’umanità, dobbiamo fare una valutazione etica concreta su quale sia la materia di indagine: se comporta manipolazione e/o distruzione di embrioni, cioè di esseri umani, la nostra valutazione non può che essere negativa. Questa è la vera posta in gioco.
Sta dicendo che occorre considerare e distinguere le prospettive di applicazione degli interventi di modifica del Dna?
Sì. Guardiamo positivamente a interventi su bambini o persone adulte, volti a curare malattie genetiche che possono causare patologie e sofferenze. Siamo favorevoli ad una scienza in armonia con la salvaguardia della vita, ma nel momento in cui si sposta il baricentro dalla cura di una patologia in atto al tentativo di “rafforzare” i geni, occorre chiedersi quale sia la vera finalità.
Forse una sorta di “potenziamento” genetico della persona con il rischio di creare una discriminazione all’interno dell’umanità tra chi può permettersi queste tecniche e chi no. Una sorta di umanità di serie A, facoltosa e “potenziata”, e un’umanità di serie B, meno facoltosa e “normale”. Un rischio che non può non sollevare perplessità di natura etica e antropologica.
Lei ha richiamato l’importanza di argomentare in chiave umana e in modo scientifico e fondato…
Da questo punto di vista Scienza & Vita sta subendo una metamorfosi. Anni fa ci sentivamo interpellati da emergenze legate a profili legislativi su cui la popolazione italiana era chiamata ad esprimersi. Mi riferisco in particolare all’iter che ha portato alla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita; pur consapevoli che il provvedimento non fosse accettabile tout court, poiché l’alternativa era il Far West, una legge, pur se non perfetta, avrebbe costituito un argine al rischio di derive quali clonazione o possibilità di sperimentare sugli embrioni. Oggi siamo su un fronte diverso, caratterizzato da applicazioni scientifiche sull’uomo meno eclatanti e quindi meno percepibili dall’opinione pubblica, ma delle quali non riusciamo ancora a comprendere la ricaduta. Scienza & Vita deve farle emergere, spiegare in modo competente e chiaro che cosa significhi e comporti intervenire sul Dna. Più in generale, come ha auspicato mons. Russo, avvalendoci dei massimi esperti, intendiamo diventare un hub di indagine e approfondimento scientifico e culturale sempre più qualificato. Per questo stiamo pensando a presidi territoriali dove possano essere presenti scienziati, avvocati e bioeticisti legati agli atenei e in dialogo con le diocesi per approfondire temi che, legati alle politiche sanitarie, sono spesso governati dalle regioni e non dallo Stato. Una mission di divulgazione della ricerca per dare vita a un dibattito consapevole e informato. Alla quale si aggiunge quella di dialogo e dialettica con gli organi istituzionali, Parlamento in primis ma anche Consigli regionali, impegnati nella fase di predisposizione di un testo di legge su questi temi.