Di maschere e mascherine. Tra le tante maschere del carnevale di Venezia, ce n’è una in particolare che richiama un po’ i giorni nostri
La “maschera della moretta”, conosciuta anche come quella della “servetta muta”. Ne racconta la storia la pagina Fb “Venezia 1600”.
A.D. 1296. Il senato della Serenissima Repubblica di Venezia emana un editto in cui si dichiara festivo l’ultimo giorno prima del mercoledì delle Ceneri. A quella festa, caratterizzata ancora oggi da maschere e costumi, viene dato il nome di “carnevale”, un termine che guarda – in un certo qual modo – al futuro. Si rifà, infatti, al latino “carnem levamen” (o levare) e ricorda che quello che noi oggi chiamiamo “martedì grasso” è l’ultimo giorno prima dell’inizio della Quaresima, tempo di digiuno e astinenza. C’è chi sostiene che il termine “carnevale” derivi direttamente da “carnem vale”, dove “vale” era il saluto latino con cui ci si congedava, per cui “carnem vale” significherebbe, per l’appunto, “addio carne…”. Un significato, questo, che si riferiva alle tavole dei nobili e dei borghesi, perché, sulle tavole dei poveri di carne se ne vedeva passare assai poca.
Per molti secoli il carnevale è durato sei settimane, dal 16 dicembre fino al mercoledì delle Ceneri, anche se i festeggiamenti iniziavano già con i primi di ottobre. Un tempo di balli, feste in costume e di maschere, grazie alle quali si poteva nascondere la propria identità, annullando in questo modo ogni tipo di forma di appartenenza a classi sociali, sesso e religione. Un periodo spensierato, quello del carnevale, in cui ci si sentiva tutti parte di un grande palcoscenico mascherato, in cui attori e spettatori si fondevano in un unico grande corteo colorato e festante.
Fin da subito non è certo mancato chi se n’è approfittato di questa spensierata libertà. Lo dimostra il fatto che nel 1399 la Serenissima emana una legge in cui si fa divieto di andare travestiti in “modum inhonestum” e di recarsi mascherati nelle chiese e nei monasteri femminili. Viene, inoltre, sancito per legge che non si deve “andar depenti, né cum barba né cavelli posticci”, né nascondersi sotto le mentite spoglie di religiosi o pellegrini.
Tra le tante maschere che da sempre caratterizzano il carnevale di Venezia, ce n’è una in particolare che richiama un po’ i giorni nostri. È la “maschera della moretta”, conosciuta anche come quella della “servetta muta”. Ne racconta la storia la pagina Fb “Venezia 1600”. Di origine francese, era una maschera ovale di velluto nero, senza piume, pizzi o merletti, che veniva tenuta aderente al viso senza lacci, ma mordendo un bottone sistemato al suo interno. Facile comprendere, a questo punto, il perché del nome “servetta muta”. “Era una maschera che non permetteva alle donne di parlare – si legge sulla pagina – e divenne molto comune tra le donne veneziane, soprattutto tra il XVII e il XVIII secolo, poiché nascondere il volto era considerato un modo per rendersi più affascinanti e misteriosi”.
Chissà se, in questi mesi, ci siamo sentiti più affascinanti e misteriosi aggiustandoci dietro le orecchie gli elastici della nostra FFP2. Magari quella nera, che sfila di più, o quella in tinta con la maglia che abbiamo deciso di indossare.
Una cosa in comune, però, tra la maschera della moretta e le nostre FFP2 c’è.
Benché quelle che sono oramai divenute parte integrante del nostro outfit non abbiano alcun bottone da mordere – a farle stare belle aderenti alla faccia ci pensano gli elastici (e le orecchie) – il silenzio è lo stesso. Perché quelle mascherine “a becco” che ci proteggono dal pericoloso nemico che ci insidia da quasi due anni (e dalle sue varianti), ci hanno tolto la parola. Lo si avverte soprattutto sui mezzi pubblici, dove spesso non vola una mosca. Ma questo silenzio, più che trasmettere fascino e mistero, dà piuttosto voce a diffidenza e paura.
“Di maschere e mascherine” è il titolo che il fotografo Giorgio Boato ha dato al suo scatto, pubblicato su Fb, che immortala l’incrocio di sguardi tra una coppia in maschera in piazza San Marco e un giovane turista, in jeans, zainetto e FFP2, pronto a fotografarli. Passato e presente. Anche questo è il carnevale 2022 che – dopo la pausa forzata dovuta alla pandemia – torna a riempire le piazze e le calli della città di Venezia. Distanziato, senza il tradizionale volo dell’angelo, ma nuovamente in presenza.