Decessi in Rsa, oltre il dramma, le responsabilità. Il risarcimento è possibile?
Le riflessioni di Giovanni Franchi, avvocato del comitato RSAperte. “I familiari possono chiedere un risarcimento, analizzando la responsabilità per deficit organizzativo della struttura e conseguente danno da infezione nosocomiale”. Tutti dettagli e i chiarimenti, a partire dalla legge 24/2017 sulla sicurezza delle strutture sanitarie
Sono tanti, troppi, gli anziani deceduti nelle Rsa a causa del Covid: numeri certi non ce ne sono, ma “si dice, sulla base di dati parziali, che sarebbero ben più di 10 mila”. A riaprire la ferita è Giovanni Franchi, avvocato del comitato RSAperte, che si interroga su una possibilità che, se certamente non porterà consolazione ai familiari, potrebbe almeno portare un po' di giustizia: “I familiari degli anziani deceduti hanno la possibilità di ottenere un ristoro delle proprie sofferenze, quanto meno sotto forma di un risarcimento pecuniario?”, si domanda. E risponde: “A parere di chi scrive, sotto il profilo risarcitorio, gli eredi delle vittime possono procedere anche solo in sede civile e la questione va affrontata analizzando la responsabilità per deficit organizzativo della struttura e conseguente danno da infezione nosocomiale”.
Le infezioni nosocomiali
Ma cosa s'intende con infezione nosocomiale: “Con tale termine si intendono generalmente infezioni insorte nel corso di un ricovero ospedaliero, non manifeste clinicamente né in incubazione al momento dell’ingresso e che si rendono evidenti dopo 48 ore o più dal ricovero, nonché quelle successive alla dimissione, ma causalmente riferibili, per tempo di incubazione, agente eziologico e modalità di trasmissione al ricovero medesimo. Tali infezioni sono un problema particolarmente critico per la medicina moderna – riferisce Franchi - a causa della loro elevata frequenza e difficile evitabilità, nonostante siano prevedibili, nonché a causa delle loro conseguenze, spesso gravi. Ciò con evidenti ricadute anche in termini di contenzioso giudiziario a titolo di richieste di risarcimento del danno patito, letteralmente esploso negli ultimi anni”. E' il caso, appunto, del Covid-19, che “costituisce sicuramente un’infezione nosocomiale. E una Rsa deve essere equiparata, sotto questo profilo, ad una struttura ospedaliera”.
La legge Gelli e la responsabilità della struttura
Il diritto alla sicurezza dei pazienti ricoverati in una struttura è previsto e regolamentato dalla legge 24/2017 (Gelli-Bianco), che all'articolo 1, ricorda Franchi, “prevede che i servizi sanitari devono essere erogati dalla struttura in piena sicurezza, con la conseguenza che la stessa deve ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. per tutti quei fatti o eventi eziologicamente riconducibili a fenomeni di disorganizzazione: tra questi, le infezioni nosocomiali, quali appunto quelle da Covid-19. La legge Gelli – ricorda l'avvocato - ha sancito in capo alle strutture una responsabilità contrattuale, con conseguente prescrizione in 10 anni del diritto al risarcimento e con notevole vantaggio per il danneggiato sotto il profilo dell’onere probatorio”. Nello specifico, chi intenda chiamare in causa la struttura, deve presentare solo tre condizioni: primo, “avere concluso il contratto con la struttura”; secondo, “essere stato infettato durante il ricovero (prova sicuramente agevole se il soggetto infettato fosse già da tempo ricoverato nella struttura, rappresentando l’unico possibile luogo dell’infezione)”; terzo, “la sussistenza del nesso causale fra l’infezione e il danno/morte secondo il principio giuridico del 'più probabile che non'. Sarà, invece, onere della struttura – continua Franchi - provare il corretto e diligente adempimento, dando prova della imprevedibilità ed inevitabilità dell’infezione. Onere sicuramente complesso in caso di infezioni di questo tipo – osserva Franchi - La Rsa in tal senso dovrà dimostrare di aver adottato un modello organizzativo finalizzato ad evitare o ridurre il rischio di insorgenza di questo tipo di infezioni, o dimostrare la loro inevitabilità”. In questo senso, avrà “valore decisivo la dimostrazione da parte della Rsa di aver tenuto un comportamento conforme a tutta una serie di circolari e direttive del ministero della Salute riguardanti norme tecniche al fine di evitare il diffondersi del coronavirus che, laddove non fossero rispettate, potrebbero comportare l’insorgenza della responsabilità della Rsa, da valutarsi caso per caso”.
Aggiunge Franco: “In ogni caso, dovranno valutarsi gli strumenti di protezione concretamente posti in essere dalla struttura, i meccanismi e modelli organizzativi, adottati al fine di prevenire il diffondersi del virus nella struttura stessa. È infatti da dimostrare che l’epidemia e il contagio all’interno degli ospedali fossero eventi del tutto imprevedibili e inevitabili, specie nel momento in cui la diffusione del virus era ormai divenuta nota alle autorità sanitarie. La responsabilità in capo alle Rsa si configura, insomma, come di tipo generalmente omissivo – chiarisce ancora l'avvocato - per non avere posto in essere misure adeguate al fine di evitare il contagio all’interno della stessa, ad esempio mediante appositi strumenti di isolamento”.
Il “ristoro” e i danni
In definitiva, alla luce di quanto previsto dalla legge, “è evidente che chi ha avuto un genitore deceduto in una Rsa a causa del Covid-19 ha ottime possibilità di ottenere il ristoro del pregiudizio patito – conclude Franchi - Ma quali danni? Sicuramente quelli subiti dall’anziano, tra i quali quello biologico, derivante dalla perdita della propria vita. Danno, questo che può essere chiesto dagli eredi. Vi sono poi quelli morali, invocabili da chiunque avesse un rapporto affettivo con il compianto”. Come procede, allora? Franchi suggerisce che, sulla base dell'articolo 8 della stessa legge Gelli, “chi intende esercitare davanti al Giudice civile un’azione di risarcimento danni derivante da responsabilità sanitaria presenti innanzitutto un ricorso (ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c.). Il giudice, una volta depositato il ricorso, provvederà a nominare un medico legale e un medico specializzato nella disciplina oggetto della controversia. A questa consulenza dovranno partecipare sia le parti in causa ma anche la compagnia assicurativa della Rsa, con l’obbligo di formulare l’offerta risarcitoria o, al contrario, i motivi per cui si ritiene di non doverla formulare”.
Chiara Ludovisi