Con la pandemia aumentata la richiesta di logopedisti, ma in Italia mancano i professionisti

La pandemia ha fatto aumentare del 30% la richiesta dei logopedisti per il percorso riabilitativo delle persone ricoverate in terapia intensiva. Ma in Italia i logopedisti sono pochi: circa il 40% in meno rispetto alla media europea. Questo è quanto emerge dal Libro Bianco, il primo rapporto che fotografa lo stato della logopedia in Italia

Con la pandemia aumentata la richiesta di logopedisti, ma in Italia mancano i professionisti

I medici che ricorrono più spesso al supporto di un logopedista sono i pediatri di famiglia (il 91% degli intervistati), seguiti dai neurologi ambulatoriali (75%) e dai medici di famiglia (70%). Questo è quanto emerge dal primo “Libro Bianco della Logopedia”, un'indagine sul modo in cui viene vissuto il ruolo del logopedista sia dalle altre professioni sanitarie sia dal management del sistema sanitario. Realizzato dalla società di ricerche demoscopiche Datanalisys, l'indagine ha coinvolto 2.100 tra medici di famiglia, pediatri, geriatri, neurologi e fisiatri e 200 tra direttori generali e direttori sanitari di Asl e aziende ospedaliere, in tutta Italia. Il volume e l'indagine sono stati presentati oggi a Roma dalla Fli (Federazione dei Logopedisti Italiani) che attendono ora di vedere come si potrà agire tramite il Pnrr anche in questo settore. L'indagine ha mostrato come le problematiche per le quali si è reso necessario l'intervento del logopedista sono state innanzi tutto i disturbi primari del linguaggio e quelli specifici dell'apprendimento, su sollecitazione del 25% dei pediatri di famiglia, malattie croniche e degenerative sono state invece il motivo per cui il 40% dei fisiatri ha chiesto aiuto a uno specialista dei disturbi fonetici. Circa uno su quattro dei geriatri ambulatoriali intervistati ha ritenuto opportuno avere un supporto di fronte a paziente con Alzheimer o altre demenze. La maggior parte degli intervistati (oltre il 50%) è concorde nell'individuare il motivo di fondo per cui si ricorre al supporto di un logopedista: evitare un aggravamento progressivo della patologia del paziente.

Con la pandemia le richieste di intervento da parte dei logopedisti sono salite del 30% per la riabilitazione del linguaggio dei pazienti dimessi dalle terapie intensive. “Gran parte dei pazienti che sono finiti in terapia intensiva devono riacquisire alcune capacità primarie – spiega Tiziana Rossetto, logopedista e presidente Fli –. Dopo aver trascorso anche trenta o sessanta giorni in rianimazione, infatti, è necessario per molti, soprattutto se adulti o anziani, seguire un preciso percorso di riabilitazione per ricominciare a parlare, a deglutire o a mangiare correttamente. L’intubazione prolungata, per esempio, ha conseguenze sia sulla fonazione che sulla deglutizione, due specifici campi di competenza del logopedista”.

Per rispondere alla richiesta i logopedisti hanno attivato un sistema di logopedia a distanza e tele-assistenza molto efficace e hanno varato per primi delle linee guida che sono state subito prese a modello all'estero. Le difficoltà sono però aumentate in quanto si tratta di una categoria drammaticamente sottodimensionata per numeri: in Italia ci sono circa 15mila specialisti, 24 ogni 100mila abitanti, contro una media europea di 40 per 100mila. Calcolando i consueti 60 milioni di abitanti, si parla di circa 10mila professionisti mancanti. “E pensare che la nostra professione è ai primi posti nella scelta delle giovani matricole tra le 22 professioni sanitarie. Ma i circa 840 laureati che si registrano ogni anno in Italia non sono abbastanza per colmare il divario con gli altri Paesi”, aggiunge Tiziana Rossetto. E le conseguenze di questa carenza sono purtroppo a carico del cittadino e paziente: “Per fare solo due esempi, le liste d’attesa superano ormai un anno; inoltre adulti e anziani in fase acuta e cronica (quali post ictus con afasia, malattie croniche degenerative, demenze) non possono essere presi in carico malgrado le evidenze scientifiche dimostrino l’efficacia dell’intervento di cura da parte del logopedista”.

Tutte le categorie di specialisti chiamati a rispondere hanno riconosciuto che durante la pandemia il rapporto con il paziente ha subìto una forte frenata (più di tutti, i geriatri ambulatoriali con il 64%); piccole percentuali hanno invece dichiarato di non aver registrato variazioni di rilievo nel loro lavoro a quattro mani (per esempio i pediatri di famiglia, 16%, e i neurologi ambulatoriali, 13%).

Il 43% dei medici di famiglia e la stessa percentuale dei fisiatri segnala che il rapporto logopedista-paziente si è interrotto proprio in conseguenza della pandemia, mentre il 51% dei geriatri ambulatoriali racconta di continue sospensioni e riavvii che hanno complicato il percorso di riabilitazione.

“Il Pnrr è una grande opportunità per il nostro paese, la sanità non è vista più come un costo ma una fonte di investimento per il nostro benessere sociale, psicologico ed economico – precisa l’on. Beatrice Lorenzin, coordinatrice di Health & Science Bridge del centro studi americani –. Le professioni sanitarie, il loro capitale umano, la loro capacità di aver retto e fronteggiato una crisi pandemica senza precedenti devono diventare i veri attori della nuova medicina di territorio e di prossimità. Questo ‘Libro Bianco’ rappresenta quindi oggi uno strumento importantissimo. Aver coinvolto pediatri di libera scelta, medici di famiglia, geriatri e le direzioni aziendali nell'indagine conoscitiva del bisogno di salute e delle prestazioni logopedistiche è, infatti, un grande obiettivo verso la medicina partecipativa che rafforza l'alleanza terapeutica tra cittadino-utente e professionista della salute. Ad esempio, nelle Case di Comunità e nella medicina di prossimità non dovrà mancare la figura sanitaria del logopedista che dovrà affrontare il grande numero di estubati provenienti dalle terapie intensive, i cui numeri - in aumento - sono già allarmanti e si scontrano con la carenza de numero di professionisti che ha portato a un calo di prestazioni nella fase pandemica sui problemi tradizionali affrontati quotidianamente dal logopedista: i disturbi del linguaggio, le balbuzie, disturbi dell'apprendimento”.

Per quanto riguarda invece il campione di intervistati appartenenti al management sanitario, la grande maggioranza (circa il 75%) dei direttori generali e sanitari ritiene “molto importante” o “abbastanza importante” la figura del logopedista; in particolare per far fronte a problematiche quali le malattie croniche degenerative (Parkinson, Sla) o l’afasia conseguente a un ictus o a interventi chirurgici. Il 58% dei direttori generali e il 57% dei direttori sanitari afferma che l’intervento di un logopedista sia strategico per evitare, in prospettiva, un aggravamento progressivo della patologia del paziente.

“Questo Libro Bianco ha riaffermato la necessità di un approccio multidisciplinare e interprofessionale del nuovo modello organizzativo della Sanità con il Pnrr– conclude Fernando Capuano, presidente nazionale della Simedet (Società Scientifica Italiana di Medicina Diagnostica e Terapeutica) –. La formazione delle professioni sanitarie si deve arricchire della multiprofessionalità, occorre fate rete tra sistema pubblico ed accreditato, e la presa in carico del paziente deve essere garantita in tutte le fasi del Pdta. La carenza di 10.000 logopedisti non assicura la fase di riabilitazione dei disturbi di linguaggio e dei deficit da long covid, stroke e demenze”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)