C’era una volta l’Urss. Le vicende economiche che sgretolano gli imperi
Sessanta e trent’anni fa, in questi giorni, accaddero due fatti che cambiarono il corso della Storia.
Sessanta e trent’anni fa, in questi giorni, accaddero due fatti che cambiarono il corso della Storia: a Berlino le autorità della Repubblica Democratica Tedesca (la Germania comunista dell’Est) decisero di erigere un muro che dividesse la città dalla parte libera e occidentale. Era il 1961.
Nell’agosto del 1991, invece, si dissolse in un batter d’occhio l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, meglio conosciuta come Urss. Un’esperienza durata oltre 70 anni, sorta dalle ideologie sviluppatesi a cavallo tra Ottocento e Novecento, che era diventata – nell’agosto 1991 – un gigante dai piedi d’argilla.
Entrambe le situazioni ebbero come causa principale quella economica: da Berlino fuggivano in Occidente medici, ingegneri, professionisti, insomma le migliori menti attratte da libertà e da un tenore di vita nemmeno comparabile. Le frontiere erano già state sigillate, mancava una barriera fisica che tagliasse in due la città. Il muro, che fu abbattuto anch’esso in un battibaleno nel 1989, fece capire ai tedeschi e agli altri popoli sovietizzati che c’era una cortina di ferro che li separava dal resto del mondo. E che conveniva adattarsi al socialismo di Stato, con le buone o con i mitra delle guardie di frontiera e i carri armati russi.
Nel 1991 furono sempre motivazioni economiche a liquefare una grande potenza militare che però si reggeva sul nulla. Riarmo nucleare, “guerra fredda” e altro ancora non riuscirono laddove fallì il tentativo di Gorbaciov di mettere in sesto un’economia che faceva acqua da tutte le parti. La pianificazione statale non soltanto aveva creato una situazione di povertà diffusa, ma aveva pure ridotto il Paese alla mancanza di tutto: una superpotenza basata sugli autarchici fagioli dell’orto?
Quest’ultimo evento – la dissoluzione dell’Urss – creò molti nuovi Stati, la crisi di quelli sostenuti dai finanziamenti sovietici, la rapidissima e definitiva liquidazione del comunismo come possibile esperienza economica e sociale. Si pensò allora che l’intero mondo fosse di fronte all’unica prospettiva della libertà individuale e del libero mercato; durò poco.
Più a est, Pechino guardò con attenzione gli eventi russi, e con tipico pragmatismo cinese corresse il tiro. Porte aperte a un libero mercato strettamente controllato da un potere dittatoriale che si disinteressava delle utopie marxiste ed elaborava una nuova formula: ok al capitalismo di Stato, un po’ più di libertà individuali per trasformare i compagni-sudditi in consumatori-sudditi. A dire il vero questa è una formula che è piaciuta molto a molti, negli anni seguenti. E la Cina ha preso il posto dell’Urss nel panorama mondiale, con piedi molto meglio piantati per terra. Si è integrata, anzi incistata nel nostro sistema senza recepirne i valori, se non quelli monetari. Chissà nel 2051…