Brasile: crescono i Pentecostali e gli Evangelici. Dalla chiesa del “Noi” alla chiesa dell'”Io”
Nel 2032 dovrebbe verificarsi in Brasile il sorpasso delle chiese pentecostali ed evangeliche rispetto alla Chiesa cattolica. Tra le cause del successo, l'individualismo in crescita nelle periferie, la crisi economica, l'aumento delle disuguaglianze sociali: tutti elementi da cui, per queste chiese, ci si salva solo col merito personale, a scapito di un’attenzione alle dinamiche associative e comunitarie. Per fare chiarezza su quanto accade, il Sir ha intervistato tre esperti: il teologo Rodrigo Coppe Caldeira, lo storico Gianni La Bella e padre Geraldo Ferreira Bendaham, coordinatore della Pastorale dell’arcidiocesi di Manaus.
L’anno “presunto” è il 2032. In quella data, se prosegue l’attuale tendenza, in Brasile ci dovrebbe essere il sorpasso delle chiese evangeliche e pentecostali sulla Chiesa cattolica. E’ l’ipotesi formulata da uno studio di DataFoha, pubblicato di recente. Secondo la ricerca, il cattolicesimo è ancora in cima alla “classifica”, con circa il 50% della popolazione, ma continua il calo dei suoi fedeli. Viceversa, gli evangelici continuano a crescere e arrivano al 31%. La zona con la più alta percentuale di cattolici è il Nord Est del Paese, mentre gli evangelici, oltre a una forte presenza nel Sud Est e nel Centro Ovest, sfondano nel Nord (cioè negli Stati dell’Amazzonia), dove arrivano al 39%.
In realtà,
è difficile dare “numeri certi”; ma la tendenza è indiscutibile
e certamente questa è una delle questioni che viene toccata in queste settimane durante le visite ad limina dei vescovi brasiliani. Quali, dunque, le cause di questa crescita che sembra inarrestabile? E come la Chiesa è chiamata a rispondere a questa sfida? Il Sir lo ha chiesto ad alcuni esperti della questione.
L’individualismo cresce nelle periferie. Il teologo Rodrigo Coppe Caldeira, esperto di fenomeni religiosi e docente all’Università Cattolica del Minas Gerais, spiega: “Quella a cui stiamo assistendo è la terza ondata evangelica che investe il Brasile, dopo la prima a inizio Novecento, che ha riguardato essenzialmente il Sud, e la seconda, che risale agli anni Cinquanta del secolo scorso. Questa terza ondata, il cui inizio risale agli anni Settanta, ha attecchito per i mutamenti sociali nel frattempo avvenuti in Brasile.
L’ambito chiave di questo successo è costituito dalle periferie delle grandi città. Qui la cosiddetta ‘teologia della prosperità’, diretta soprattutto al singolo, seduce le persone che vivono ai margini delle metropoli”.
Il teologo cita una ricerca condotta tra il 2016 e il 2017 dalla fondazione Perseu Abramo, legata al Partito dos Trabalhadores, nella periferia di San Paolo. Secondo lo studio, la fase di crisi economica che ha fatto seguito agli anni della crescita ha fatto emergere una mentalità individualista, fondata sul merito, a scapito di un’attenzione alle dinamiche associative e comunitarie. Ed è proprio in questo contesto che le chiese pentecostali guadagnano spazio, anche di fronte, riflette Coppe Caldeira,
a una “certa fragilità istituzionale della Chiesa cattolica, a partire dalla presenza sacerdotale”,
che diventa più evidente nel nord e negli Stati amazzonici, altre zone di espansione delle “nuove” chiese.
La sfida più grande per i cattolici. Anche il professor Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, esperto di questioni latinoamericane sia per la sua ricerca accademica sia per il suo impegno nella Comunità di Sant’Egidio, ritiene che quella portata dai pentecostali sia “la sfida più grande che si trova ad affrontare la Chiesa cattolica brasiliana”. Certo, avverte il docente,
“la questione è complessa anche perché questa galassia che chiamiamo evangelica o pentecostale è in realtà difficilmente definibile e quantificabile.
Si tratta di una realtà in evoluzione, che è passata dalle ‘mega-church’, dalle grandi strutture di qualche anno fa alle ‘chiese portabili’ che si stanno diffondendo ora, chiese di prossimità, informali e piccoli, quasi familiari”. Per La Bella, “è comunque indubbia la crescita di queste realtà in tutta l’America Latina. In alcune zone dell’America Centrale, in particolare in Honduras, credo che il sorpasso sui cattolici sia già avvenuto”.
Si presentano come “soluzione ai problemi”. Completa la “diagnosi” padre Geraldo Ferreira Bendaham, coordinatore della Pastorale dell’arcidiocesi di Manaus, la metropoli che sorge nel cuore dell’Amazzonia, una delle località dove è più tumultuosa la crescita dei pentecostali: “Occorre distinguere, ci sono certamente degli evangelici che vivono di fatto la fede in Gesù Cristo e le sue implicazioni pratiche e sono lontani da una fede alienata o manipolata da pastori politici-imprenditori, che trasformano la religione in un affare economico”. Per il sacerdote, in ogni caso, la crescita degli evangelici pentecostali è dovuta ad alcune costanti:
“In primo luogo l’aumento delle diseguaglianze sociali ha dato vita a una massa di persone povere che diventano il pubblico di riferimento della predicazione di molte chiese pentecostali,
che, mentre il Governo è assente, si presentano come la soluzione di tutti i problemi. Queste chiese, inoltre, usano molto i media e i nuovi linguaggi, hanno una grande disponibilità economica, applicano alla religione le regole del marketing e funzionano come imprese che offrono ai ‘clienti’ il ‘prodotto’ che si aspettano, con ritorno immediato. Inoltre, per i leader e i pastori è sufficiente una formazione teologica minima e rapida”. Di fronte a tutto ciò, “c’è una Chiesa cattolica che a volte è senza profondità, che finisce per preparare il terreno agli evangelici, oppure chiusa in se stessa e lontana”.
Ritorno ad Aparecida e nuova stagione laicale. Come, dunque, la Chiesa può rispondere a questa sfida, in parte evocata anche durante il recente Sinodo? Per La Bella “è necessaria un’organica strategia che vada oltre il lamento.
Il Convegno dell’episcopato latinoamericano di Aparecida si concluse con un invito alla Missione continentale. Bisogna ripartire da lì,
chiedendosi cosa significa oggi essere ‘Chiesa in uscita’ in tre grandi contesti: anzitutto le enormi periferie urbane, poi il mondo indigeno-amazzonico, protagonista del recente Sinodo, infine anche il mondo rurale, che resta ancora una realtà fondamentale nel continente”. Quando gli diciamo che dopo il Sinodo per l’Amazzonia servirebbe forse un Sinodo per le grandi realtà urbane, lo storico annuisce: “Sì, servirebbe un Sinodo per le megalopoli, in cui la stessa base parrocchiale entra in crisi e conta fino a un certo punto”. E poi ci sono altre dimensioni che andrebbero approfondite: “Penso al ruolo dei santuari e della religiosità popolare, alla necessità di un cattolicesimo che non sia solo presentato ‘razionalmente’, ma risponda alla ‘sfida dell’emozione’, proprio dentro alla cultura emozionale che viviamo”.
Soprattutto, anche alla luce dell’esortazione Querida Amazonia, “la sfida passa per una nuova mobilitazione laicale, per un’idea ecclesiologica nuova. E in un nuovo radicamento tra umili e poveri, mettendo al centro il ‘noi’, mentre invece i pentecostali mettono al centro la dimensione dell’‘io’, in questo senso la loro è una religione meritocratica”.