Al richiamo di un grande corno di mucca. La tradizione del wrestling in Sud Sudan si perde nella notte dei tempi
In Sud Sudan il wrestling è lo sport più popolare. Anzi è quasi più di uno sport. È un’occasione di festa e di incontro per migliaia di persone.
Le bacchette rimbalzano energiche sulla pelle tesa dei tamburi. Il loro ritmo scandisce il tempo, mentre l’aria viene attraversata dal suono di un grande corno di mucca. È musica di festa quella che accompagna, in Sud Sudan, gli incontri di wrestling.
Nel Paese africano non ci sono i ring su cui si affrontano in eventi-spettacolo i campioni della WWE, la World Wrestling Entretainment, personaggi come Hulk Hogan, Tiger Mask e Ultimate Warrior che negli anni Novanta con i loro show hanno tenuto attaccata al piccolo schermo un’intera generazione. Qui gli sfidanti si affrontano su “ring” all’aperto, dove il sudore degli atleti si mescola con la polvere della terra battuta.
In Sud Sudan il wrestling è lo sport più popolare. Anzi è quasi più di uno sport. È un’occasione di festa e di incontro per migliaia di persone. A raccontarlo, sulla sua pagina Facebook, è p. Stefano Trevisan, che da sei mesi opera nella missione di Mapuordit, nella diocesi di Rumbek, Stato dei Laghi (Lakes State).
Originario di San Vigilio di Marebbe, il 37enne missionario comboniano Abuna Steven – come lo chiamano i ragazzi – cercare di essere ogni giorno, nel quotidiano, testimone del Vangelo condividendo con la gente le difficoltà così come i momenti di gioia. E questo lo ha portato a passare dalle piste innevate della Val Badia, dove un tempo lavorava come maestro di sci, ai grandi spazi teatro delle gare di wrestling. “Il wrestling in Sud Sudan è praticato da ragazzi, giovani e adulti con un’età che va dai 16 ai 35 anni – spiega -. I tornei regionali e provinciali si svolgono nelle città e nei villaggi più piccoli, mentre il torneo nazionale, al quale partecipano gli atleti più forti, si tiene a Juba, la capitale”.
Gli incontri sono un momento di aggregazione per la gente dei villaggi, che accorre a migliaia. “Le sfide avvengono in un clima di festa – prosegue p. Trevisan -. Le ragazze cantano e ballano ai bordi del campo per incitare gli atleti. C’è poi una cosa simpatica: alla fine dei combattimenti iniziano a lottare, per gioco, i bambini dai 6 anni in su, che emulano i loro beniamini. Alla fine delle gare, poi, tutti gli spettatori, soprattutto ragazzi e ragazze, iniziano a girare in cerchio danzando”.
P. Stefano, che da maggio di quest’anno intreccia le sue giornate di missionario con quelle della gente di Mapuordit, sottolinea che in Sud Sudan il wrestling “non è solo una questione di forza fisica”. Il wrestling, in Sud Sudan, è qualcosa di più. Basti pensare che il torneo nazionale che si è tenuto nell’aprile 2016 a Juba, è stato il primo momento d’incontro dopo lo scoppio della guerra civile del 2013 e ha riunito le squadre di quattro Stati, che hanno dato vita ad una variopinta celebrazione di sport e cultura.
“Osservando i combattimenti, si nota quanto i lottatori siano orgogliosi e fieri – racconta p. Stefano -. Soprattutto qui a Mapuordit i lottatori provengono dai cosiddetti “cattle camps”, i campi di bestiame dove i pastori vivono con migliaia di mucche e tori. Le gare si svolgono da settembre a dicembre, e sono un appuntamento fisso ogni venerdì, sabato e domenica. Questo periodo è il tempo del raccolto e gli atleti possono mangiare molto e possono bere molto latte, così da irrobustirsi per le gare”.
La tradizione del wrestling in Sud Sudan si perde nella notte dei tempi. Le sue origini sono legate alla pastorizia. Le lotte, infatti, emulano gli scontri tra i tori. “Ancora oggi, i tori sono presenti nelle gare – aggiunge p. Stefano -. Durante gli incontri, infatti, vengono fatti sfilare tori giganteschi dalle corna enormi”. Corna che diventano poi anche strumenti musicali, usati per richiamare agli incontri la gente dei villaggi e per scandire – al suono dei tamburi – il ritmo delle gare.