Africa nei media. “Anche qui abbiamo i nostri George Floyd ma non suscitano stessa indignazione”

Presentazione a Roma del rapporto Amref nella Giornata per l’Africa e a un anno dall'uccisione di Floyd. Micucci: “Calo drammatico delle notizie sul tema, Italia sempre più chiusa in se stessa anche per effetto della pandemia”

Africa nei media. “Anche qui abbiamo i nostri George Floyd ma non suscitano stessa indignazione”

E’ passato esattamente un anno dalla morte di George Floyd. Le immagini del suo soffocamento hanno fatto il giro del mondo, facendo nascere diversi movimenti di protesta, tutti uniti nello slogan “Black lives matter”. “L’assassioni di Floyd cade nella giornata mondiale per l’Africa ed è un episodio che segna uno spartiacque: tra il prima e il dopo ci sono stati diversi movimenti che sono nati per riaffermare che tutte le vite contano. Ma che tipo di Africa raccontiamo? Parliamo molto degli africani che muoiono e molto poco di quelli che vivono”. A sottolinearlo è Guglielmo Micucci, direttore di Amref Healt Africa Italia, in occasione della presentazione oggi a Roma del nuovo dossier realizzato dall'organizzazione e curato dall’Osservatorio di Pavia dal titolo L'Africa MEDIAta”. 

Stando ai dati del report nell’ultimo anno le notizie sull’Africa sono state oscurate dalla pandemia da Covid 19. "Nei giornali emerge un calo drammatico delle notizie sul tema, non solo in termini qualitativi ma anche quantitativi - spiega Micucci -. Questo vuol dire che ci siamo chiusi in noi stessi tenendo lontano un continente di un miliardo e 300 mila persone”. “L’Africa non fa notizia e quando fa notizia, quella notizia è mediata dalla prossimità - spiega Paola Barretta dell’Osservatorio di Pavia -. Quindi parliamo di Libia, perché il tema è legato alla gestione dei flussi migratori o di Egitto per le vicende di Giulio Regeni e Patrick Zaky. Gli altri contesti sono del tutto marginali”.

Eppure anche in Italia ci sono stati episodi gravi, “anche noi abbiamo avuto i nostri George Floyd, come Soumaila Sacko o Musa Balde ma da noi queste morti non suscitano indignazione. Sono considerate sacrificabili, forse perché è più facile vedere il razzismo nell’occhio dell’altro che non la trave che abbiamo da noi”, sottolinea Mackda Ghebremariam Tesfau, sociologa -. Oggi siamo davanti a un’Italia che inizia a svegliarsi, ma l’Italia razzista emerge anche dal rapporto. Dal mondo dell’antirazzismo stanno arrivando importanti sollecitazioni al cambiamento. E’ importante non sdoganare ragionamenti fallaci, come quelli sulla cancel culture e il politicamente corretto”, aggiunge Tesfau.

Nel corso della presentazione è stato presentato anche Conosciamoci, il cortometraggio realizzato da Walter Veltroni, a partire da alcuni focus group tra ragazzi italiani e ragazzi africani. “La nostra informazione è fortemente italocentrica, parliamo degli altri per parlare di noi stessi - afferma Veltroni -. Il dossier di Amref conferma tutti gli stereotipi. Quello che emerge è un razzismo mai del tutto cancellato dal dna di questo paese. Ma i fenomeni di intolleranza sono capaci di generare tragedie indicibili, il lavoro di correzione è importante perché è un lavoro che consente uno spostamento degli equilibri”. 

Un caso particolare nel racconto mediatico è la serie Zero, trasmessa da Netflix. Come spiega uno dei protagonisti, Haroun Fall, il cast è formato da afrodiscendenti: “Con questa serie tv abbiamo cercato di introdurci nel mercato italiano per essere rappresentati. Io ho frequentato il centro sperimentale di cinematografia, dove dalla sua fondazione, cioè dal 1935 a oggi, sono entrate solo 3 persone nere”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)