Tra Covid e guerra. Lo sguardo di Dom Stefano Visintin, abate di Praglia. Chiamati a cercare e a vivere l’unità

Tra Covid e guerra. Dom Stefano Visintin, abate di Praglia dal 2019, legge i fatti degli ultimi due anni ed evidenzia come, dal punto di vista teologico e spirituale, «siano momenti in cui Dio vuole dirci qualcosa»

Tra Covid e guerra. Lo sguardo di Dom Stefano Visintin, abate di Praglia. Chiamati a cercare e a vivere l’unità

Il tempo, a Praglia, si misura nell’ordine dei secoli. Da mille anni i monaci benedettini pregano e lavorano alle pendici settentrionali dei Colli Euganei, mentre nel mondo periodi di guerre si alternano a tempi di pace, periodi di benessere si alternano a crisi, pandemie e sconvolgimenti. Da Praglia, insomma, gli ultimi due anni assumono un significato diverso, per chi sa leggere i segni dei tempi. «Sia la pandemia, sia la guerra in Ucraina, da un punto di vista teologico e spirituale, sono momenti attraverso cui Dio ci vuole dire qualcosa».

Dom Stefano Visintin, 61 anni, dal 2019 è abate di Praglia. Da giovane indagava le realtà più profonde dell’esistenza come fisico nucleare. Oggi lo fa entrando ancor più in profondità nelle questioni di teologia fondamentale. «La pandemia ha messo in evidenza come i virus e le malattie siano sempre esistite, anche quando preferivamo non vederle. Rivelandosi in questo modo, il Covid ci ha ricordato quanto siamo fragili, nonostante lo sviluppo delle scienze e delle tecniche. Lo stesso vale per le guerre. Ci sembravano lontane, fenomeni da Paesi del “Terzo mondo”, e in realtà, con l’Ucraina, ci ricordiamo di quanto esse siano ancora presenti, e di come la nostra non fosse che una “pace armata”, sempre esposta al pericolo, da non dare mai per scontata ma anzi da continuare a costruire combattendo l’odio».

L’apocalittico che fa breccia nella modernità? L’abate Visintin preferisce ribadire la visione escatologica che la fede dà della storia: «Forse la salvezza non sta in noi, né nella scienza, né nella tecnica né nella politica. La salvezza, quella vera, viene da un’entità che è fuori da noi, un’entità misteriosa, Dio, che guida la storia verso un fine, verso l’unione con lui di tutto l’essere».

Sia la riflessione sui fatti di questi mesi, sia la millenaria riflessione teologica, sottolineano insomma la nostra fragilità. Fragilità che l’Occidente del benessere ha tentato in tutti i modi di rimuovere, sia con i miti del consumo e del virtuale, sia con le narrazioni “alternative” dei populismi e delle fake news. «Il mondo virtuale – continua dom Stefano Visintin – crea mondi immaginari che poi si rivelano illusori. Vivendo in queste realtà fittizie ci neghiamo di trovare il vero fondamento, quel Dio che trascende la realtà pur essendo nella realtà. Ma per trovare Dio dobbiamo restare coinvolti nella realtà, non fuggendo nel virtuale». Nel virtuale non perdiamo solo Dio, ma anche il fratello: «Se non viviamo nel presente ci dimentichiamo anche dell’altro. Anche nei social media, per esempio, non riusciamo a entrare in contatto con la sofferenza, con i bisogni e le necessità di chi ci sta davanti. Per essere empatici dobbiamo riconoscere chi sta fuori di noi». Tra le propagande e le post-verità abbiamo anche a che fare con «tante narrazioni differenti, tanti punti di vista palesemente contorti e contrari alla realtà». Per aiutare il prossimo, il povero che si nasconde nelle nostre comunità o i nuovi poveri, che hanno perso tutto fuggendo dalla guerra alle porte dell’Unione Europea in Ucraina, occorre fare i conti con la verità.

«Il cammino di fede stesso è un cammino di avvicinamento alla verità, a Dio, allo Spirito che regge e sostiene tutto quanto. È in questo cammino che troviamo la fiducia che possa muovere tutta l’umanità in questa direzione». L’ottimismo della fede si tinge dei colori della promessa di Dio: «La realtà non è lasciata a se stessa – indica l’abate Visintin – ma è guidata».

A noi cristiani spetta il compito di far camminare la speranza sulle nostre gambe: «Giustamente diceva il papa che il nostro compito è di portare avanti prima di tutto la Parola di Gesù». Una Parola che non lascia spazio a mediazioni: «Anche in questo contesto di guerra, sebbene la teologia e la filosofia abbiano sviluppato una teoria della guerra giusta, a noi tocca, come Chiesa, indicare la nostra visione di fede che viene dal Vangelo, per cui la guerra non è mai giusta, essendo tutti gli uomini figli di un unico Padre, fratelli tra di loro, chiamati a cercare e vivere l’unità. Questo messaggio, proposto a tutti gli uomini di buona volontà, può essere di ispirazione a quanti saranno chiamati a prendere decisioni anche in contesti difficili».

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