Profitti e scopi. Se l’azienda si fa custode
Al quesito di un padre francescano «il contrario dell’amore è?» i giovani in ascolto rispondono con tono ovvio: «l’odio!». «No – tuona il frate – il possesso!».
Occhi sbalorditi intuiscono che l’orizzonte della dicotomia amore-odio si è ampliato. Allo stesso modo, nel contesto economico, non possiamo ridurre la responsabilità della custodia del denaro a un mero contrasto ricco-povero e neanche appellarci a moralismi per i quali il vero cristiano è colui che vive in povertà. La dicotomia da considerare è invece quella del passaggio da possesso a custodia, che ci invita a modificare l’approccio al denaro a prescindere dal nostro reddito. Siamo chiamati a prendercene cura, amarlo e non possederlo, attraverso gesti quotidiani di consapevolezza come annotare le proprie spese o investire con lo scopo di ricercare, oltre al profitto, il sostegno a iniziative di valore per la comunità. Siamo invitati, inoltre, a essere più coscienti di chi stiamo beneficiando (o danneggiando) attraverso i nostri acquisti. Allo stesso modo, possiamo usarlo anche per volerci bene e volerne agli altri. Non da ultimo, rendiamoci disponibili a sostenere le necessità di chi è in difficoltà. Solo in quest’ottica di custodia lo spendere diventa un gesto educativo come segno della libertà dell’io.
Considerando poi una dimensione più ampia di quella individuale, il luogo dove il denaro non sembra incontrare giustizia e conversione è, spesso, quello delle aziende e degli affari. Alla domanda «perché esistono le aziende?» risponderemmo tutti, senza esitazione, «per i profitti», mentre l’idea che esse esistano per uno scopo, oltre il mero guadagno, e per la società tutta, è cosa da benpensanti o addirittura ingenui.
L’evidenza che la responsabilità sociale d’impresa (Rsi) porti a migliori performance aziendali, dunque a più profitti, e non il contrario, giunge allora inaspettata. È però proprio questo il risultato di uno studio condotto da un professore della London Business School, Alex Edmans. Per misurare la Rsi, Edmans si è concentrato sul benessere dei dipendenti delle cento migliori aziende statunitensi in cui lavorare secondo Fortune, indagando la relazione tra questo e i rendimenti futuri delle azioni di queste stesse imprese. I dati finali rivelano che queste hanno superato i propri pari del 2-3 per cento per anno, tra il 1984 e 2009.
La conclusione evidente, ma non ovvia, è che le aziende esistono sia per i profitti sia per uno scopo, senza alcuna contraddizione, e soprattutto è perseguendo uno scopo che giungono maggiori profitti. I profitti sono quindi un prodotto, non un fine. Per quanto semplici, l’esito e le implicazioni di questo studio possono davvero essere stravolgenti.
Anna Da Rin Zanco, Ludovica Montesanto e i giovani padovani di The Economy of Francesco