Nasceva al cielo il Giovedì Santo di 25 anni fa mons. Luigi Rossi, arciprete di Cittadella
«Il Signore sa trarre profitto anche dai nostri peccati per farci maturare, per farci crescere, per santificarci. Signore Gesù quando noi impareremo a essere come te: strenui nemici del peccato, non conniventi del peccato, ma insieme fiduciosamente amici del peccatore?» Con questa frase, tratta dalla sua ultima omelia, pronunciata i primi giorni di aprile del 1995, ci ha salutato 25 anni fa (era Giovedì santo) mons. Luigi Rossi, un sacerdote che ha lasciato in segno sia come “prete di curia”, sia come parroco.
Nato il 12 gennaio 1936 a Teolo, è stato ordinato il 10 luglio 1960 e la prima parte del suo ministero sacerdotale l'ha svolta a servizio della chiesa diocesana come notaio del tribunale ecclesiastico, segretario dell'ufficio nuove chiese, segretario del vescovo Bortignon, assistente degli uomini di Ac e vicario per l'apostolato dei laici.
È un ventennio segnato dall’applicazione del concilio, dalle grandi scelte dell’Azione cattolica, dal travaglio dei cattolici nella stagione del referendum sul divorzio. Don Luigi è stato in prima linea nella formazione dei laici e nella pastorale familiare ai primi passi. Ha messo tutte le sue capacità nel tessere rapporti, incontrare e incoraggiare le persone, far conoscere e vivere il Vaticano II in modo da maturare vocazioni laicali all'apostolato.
Dopo 26 anni di attività curiale, dal 1986 fino al 13 aprile 1995, data della sua scomparsa, è stato arciprete di Cittadella, incarico pastorale “sul campo” che ha svolto con sapienza e amorevolezza.
Don Moreno Nalesso, che è stato per due anni a Cittadella come seminarista e poi come cappellano al suo primo incarico, ne ricorda alcuni momenti salienti: «La malattia: don Luigi era ben consapevole del suo stomaco fragile e lacerato, ma non ho mai sentito in tutto ciò un lamento, un piangersi addosso, un prendersela con chicchessia, né una rassegnazione per quanto stava fisicamente e interiormente vivendo.
Quando tornava dall’ospedale, eccolo programmare il bollettino parrocchiale mensile, quasi a portarsi avanti col lavoro, perché in caso di sua impossibilità fisica, tutto fosse già pronto. No, non è stata la malattia il suo tratto dominante, ma il lavoro instancabile, organizzato, fruttuoso. Forse i passaggi della malattia hanno contribuito a tenerlo umile, ad aver bisogno dell’aiuto altrui, a coltivare quel lato affettuoso che lo ha reso sempre capace di ringraziare anche per le piccole cose. La pazienza: una mattina un parrocchiano suonò il campanello, era molto arrabbiato, questioni di vicinato e di qualche attrezzo lasciato fuori posto. La mattinata è passata tutta fra tensioni e qualche urlo; ma a quello strano personaggio don Luigi ha dato tutto il tempo a lui necessario. Il “bonsignor”, come lo chiamavano alcuni parrocchiani, aveva anche questo strano compito di ricomporre in armonia gli animi esacerbati. Tempo perso… o forse tempo donato».