Nadia De Munari. Sangue versato per amore
La scorsa domenica del Buon Pastore è stata segnata da un altro tragico episodio di violenza. Sabato notte 24 aprile Nadia De Munari, missionaria laica dell’Operazione Mato Grosso, 50 anni, originaria di Giavenale di Schio è morta all’ospedale di Lima dopo l’aggressione subita la notte del martedì 20 aprile a Nuevo Chimbote in Perù nel centro “Casa Mamma Mia” dove viveva e dove era responsabile di sei scuole materne. Dai primi elementi raccolti, comunque, sia nel caso di Nadia che del vescovo Christian, il movente non sembra essere quello della rapina. Man mano che passano i giorni, infatti, appare chiaro che i due missionari, nei rispettivi contesti, davano fastidio.
Alla luce della liturgia domenicale appena trascorsa dedicata alla figura del Buon Pastore che, come recita il Vangelo di Giovanni al capitolo 10 («dà la vita per le proprie pecore»), questi fatti assumono tutt’altro significato.
«Quando ti fai in quattro per i poveri, i conti non ti tornano, perché non è possibile lasciarsi consumare la vita, se non c’è una speranza più profonda, se non c’è un progetto più alto che non la semplice soluzione di un problema sociale» commenta Massimo Casa, dell’Operazione Mato Grosso. Massimo con la moglie Rossella conosceva molto bene Nadia, avendola vista crescere e accompagnata nella sua scelta di vita. «Ci resta l’esperienza di amicizia – ci dice al telefono – che abbiamo potuto sperimentare come famiglia, con una ragazza conosciuta da giovane e che ha fatto la sua strada. Nadia era una delle missionarie che quando tornava in Italia veniva con noi a condividere lo spirito di comunità. Ci aiutava anche ad avvicinarci alla realtà dei poveri anche da qui».
Per Nadia, il Perù rappresentava un cammino di ricerca personale e spirituale, una scelta di vita per i poveri. Attraverso i poveri Nadia sognava di incontrare la Via che la potesse portare a un senso profondo della vita, fatta di dono, di generosità, di carità. Questo era il sogno di Nadia e penso che l’abbia realizzato fino in fondo. Tutte queste scelte erano parte di un profondo cammino di fede, dove era accompagnata, in particolare quando era nella parte alta delle Ande da padre Giorgio Nonni, prete di Faenza legato all’Omg morto qualche anno fa. Quando poi si è trasferita a Nuevo Chimbote si è avvicinata a padre Ugo De Censi (salesiano, fondatore dell’Omg ndr) che è diventato il suo padre spirituale. Qualcuno rispetto alla morte di Nadia ha parlato di martirio. Massimo Casa su questo quasi si schernisce e riporta la riflessione all’essenziale. «Come cristiani - ci dice - essere martiri non è una medaglia al valor civile, è una condizione di vita. Sento che il sangue di Nadia ci deve far cambiare velocità della vita, dello sguardo e delle prospettive».
Nadia non è la prima vittima nell’Omg
L’uccisione di Nadia non è la prima tragedia che vivono i volontari dell’Operazione Mato Grosso. «Questa è una prova che scava dentro – dice Massimo Casa – Il movimento ha già vissuto nel 1992 la morte di Giulio Rocca che è stato ammazzato dai senderisti (guerriglieri di Sendero Luminoso, organizzazione d’ispirazione maoista ndr) e nel 1997 la morte di padre Daniele Badiali che era stato rapito per un riscatto. Con l’uccisione di Nadia, noi più vecchi, riviviamo momenti già sperimentati. È un passaggio questo che, purtroppo, abbiamo già conosciuto e che ci deve aiutare a far luce ancora di più sulla vita».