Mons. Magarotto a Padova. Prete innamorato dei laici, un uomo deciso e discreto
Questione di stile. La lunga amicizia con Tullio Maddalosso, le parole dell'Azione cattolica: il vescovo che a Padova per molti rimarrà sempre don Alfredo
Nonostante abbia vissuto gli ultimi trent’anni della sua vita da successore degli apostoli, per molti, a Padova, mons. Magarotto è sempre rimasto don Alfredo. E di quel suo essere prete, emerge con chiarezza un dato fondamentale: la vicinanza ai laici, l’importanza data al loro protagonismo nella vita della Chiesa, tratto che poi ha valorizzato anche da pastore di Chioggia e Vittorio Veneto.
Mons. Magarotto è stato un «caro e bravo sacerdote che di certo sta già godendo della presenza del Signore in paradiso» esordisce Tullio Maddalosso, medico, da sempre impegnato nell’associazionismo cattolico; uno dei laici che a pieno titolo possono dare testimonianza dello stile di don Alfredo. Maddalosso – che venerdì 29 gennaio compie 90 anni – è stato presidente diocesano dell’Azione cattolica dal 1972 al 1982 e confessa che la presenza di mons. Magarotto non è stata del tutto estranea a questo approdo. All’epoca, il prelato originario di Pernumia era delegato per l’Ac e il coordinamento dell’apostolato dei laici e gli incontri con Tullio si svolgevano per lo più in corsia, prima ancora che il reparto di medicina guidato dal prof. Peserico venisse trasferito al Monoblocco. «Mons. Magarotto veniva spesso a trovare amici e conoscenti ricoverati – racconta Maddalosso – e così ci intrattenevamo a parlare di molte cose.
A un certo punto mi propose di rientrare nella presidenza dell’Ac per succedere a Pietro Schiano che stava per concludere il suo servizio. Ricordo che ci confrontammo più volte, riflettemmo, io stesso ne parlai con mia moglie, all’epoca il lavoro e i figli piccoli rappresentavano un grande impegno. A un certo punto il vescovo Bortignon mi conferì il mandato di presidente, ma io sapevo che dietro c’era la mano di don Alfredo».
La storia di Magarotto e Maddalosso è quella di una lunghissima amicizia che non si è mai spenta. «Mons. Magarotto – come lo chiama ora Tullio con rispetto – veniva spesso a mangiare a casa nostra e negli ultimi anni noi andavamo a trovarlo all'Opsa. Ricordo che, sempre nei primi anni Settanta, nella periferia sud di Padova c’era stata una grande espansione urbanistica. Gli chiesi se la Diocesi pensasse di creare una nuova parrocchia e lui mi confermò che se ne stava parlando. Osservai che nei dintorni c’erano tutte comunità intitolate alla Vergine o a santi uomini e gli proposi una giovane donna, Teresa di Lisieux. La giudicò una buona idea e la fece diventare realtà».
Nel ricordo scritto in questi giorni proprio dall’Ac diocesana traspare la passione di mons. Magarotto per la “Chiesa di adulti”, centro della visione del vescovo Franceschi. «Lo abbiamo sperimentato uomo di polso e di enorme discrezione e sapienza nella fase di transizione: era morto il vescovo Filippo e l’attesa è stata lunga prima di accogliere il vescovo Antonio (Mattiazzo, ndr). Lì il ruolo diventava ancor più delicato: essere vicario di un vescovo con ben meno anni, ma che addirittura era stato un giovane prete del medesimo presbiterio. Eppure nulla ha scalfito della sua umile e profonda devozione alla Chiesa e al suo pastore».
Ha il sapore dell’intimità l’immagine del vicario generale che nella domenica delle Palme, durante la festa che l’Acr organizza nelle piazze del centro di Padova: «compariva silenzioso e defilato in fondo alla miriade di ragazzi e di educatori e godeva della festa, del boato che esplodeva al comparire del vescovo, con gli ulivi, i palloncini, i canti e la musica assordante che dava vita alla città intera. Gli occhi piccoli e socchiusi di don Alfredo lasciavano sprizzare una gioia profonda e sincera: una Chiesa giovane e palpitante era raccolta attorno al proprio pastore».
Uomo presente e influente eppure di enorme discrezione e intelligenza. Tratti che confermano i familiari in questi giorni di lutto. Don Alfredo non ha mai dimenticato di farsi presente per le ricorrenze, aveva in mente fratelli e nipoti uno a uno: negli ultimi anni chiedeva notizie anche più spesso di prima, chiamandoli tutti per nome. E poco prima di tornare al Padre, presente la sorella Agnese, il pensiero è tornato ancora una volta alla famiglia.
Il testamento spirituale scritto a san Gregorio
«Vivo con gioia e trepidazione questa vigilia di eternità, nell'attesa del mio incontro definitivo con il mio Signore- Dio giusto e misericordioso, abbia pietà di un peccatore. Confido nella materna intercessione di Maria e nelle preghiere dei miei cari e delle Diocesi di Padova, Chioggia e Vittorio Veneto e degli ospiti della casa della Provvidenza Sant'Antonio».
Così scriveva mons. Magarotto il 18 giugno 2015, memoria di san Gregorio Barbarigo, nel suo testamento spirituale.