Mensa dei Cappuccini. Un centinaio le persone accolte a mensa nell'anno
«Non scegliamo la povertà, ma le persone da amare. E lo facciamo con lo stesso sguardo e con lo stesso amore che san Francesco ha attinto da Gesù Cristo». Così padre Alfredo Feracin, frate cappuccino coordinatore della mensa dei cappuccini di San Leopoldo, racconta ciò che ispira l’attività della mensa dei frati la cui origine si perde nelle notti della memoria.
Una mensa che apre alle 11 e chiude alle 12 del mattino, tutti i giorni dal lunedì al sabato, in modo da intercettare proprio le persone che non hanno un lavoro e che dunque vi possono accedere in quegli orari. In media, sono una sessantina le persone che si rivolgono al servizio, possibile anche grazie al lavoro di tanti volontari che si alternano ogni giorno.
Da alcuni mesi, questo storico polo caritativo della città di Padova ha iniziato a collaborare in maniera organica con la Caritas di Padova. «Ora – spiega padre Alfredo – chi viene qui prima si reca dalla Caritas diocesana. Qui, infatti, oltre che dare il pranzo e servire alimenti non possiamo fare niente. Così, invece, passando dall’ufficio le persone possono sapere dove lavarsi, come vestirsi, a che servizi accedere per alleviare la loro situazione».
La collaborazione, stretta in occasione di un incontro tra tutte le attività caritatevoli di Padova svoltosi al Barbarigo l’anno scorso, ha permesso a Caritas Padova di conoscere da vicino le povertà e i bisogni di chi si reca alla mensa dei cappuccini. I dati raccolti dal marzo al settembre di quest’anno fotografano lo stato delle novanta persone a cui è stata consegnata la tessera per accedere alla mensa.
Gli uomini rappresentano la stragrande maggioranza, con l’89 per cento del totale. Gli italiani sono il 43 per cento, seguiti da marocchini (14 per cento), moldavi (uno su 10), rumeni e tunisini (5 per cento). Sei su dieci vivono per strada o trovano un tetto di fortuna, mentre il 40 per cento può contare su un’abitazione stabile o è accolto in una struttura. Tutte le donne, invece, hanno dichiarato di avere un’abitazione.
Questi dati, raccolti in maniera discreta e rispettosa, permetteranno a Caritas di conoscere sempre meglio il territorio e i suoi bisogni.