Luisa Ruzza, collaboratrice di Dio per la nostra Chiesa. La dedizione
Il suo sì definitivo alla chiamata di Dio è arrivato lunedì, durante la celebrazione di Santa Giustina presieduta dal vescovo. Luisa Ruzza, medico di 55 anni, è diventata collaboratrice apostolica diocesana a tutti gli effetti, attraverso la dedizione definitiva. Svolgerà il suo servizio pastorale sia nella parrocchia di Noventa Padovana, sia attraverso il suo lavoro. «Prego per i miei pazienti — racconta — e spero che attraverso di me sentano la vicinanza della Chiesa».
Il suo "sì" è diventato un per sempre. E adesso la nostra Diocesi può contare su una collaboratrice apostolica in più, che, attraverso la dedizione definitiva, ha deciso di consacrarsi pienamente al servizio della pastorale pur continuando a vivere del proprio lavoro. Luisa Ruzza, che ha 55 anni e fa il medico, lunedì scorso nella basilica di Santa Giustina a Padova ha coronato un cammino spirituale iniziato circa sette anni fa. «Non saprei dire come ci sono arrivata: ha fatto tutto il Signore – racconta Luisa sorridendo – Ho conosciuto il gruppo delle collaboratrici nella casa di spiritualità di Villa Immacolata, mi hanno invitata a un pellegrinaggio in Terra Santa e il resto è venuto da sé».
Da sempre impegnata nella sua parrocchia di Noventa Padovana, con una lunga esperienza di scoutismo alle spalle e il sostegno della famiglia e dei “suoi” sacerdoti, tre anni fa Luisa è diventata collaboratrice apostolica temporanea. Il sì definitivo alla chiamata di Dio è arrivato invece lunedì scorso, durante la celebrazione per la festa di santa Giustina presieduta dal vescovo Claudio. «Il vescovo – sottolinea Manuela Riondato, responsabile dell’associazione delle collaboratrici – ha voluto valorizzare una ricorrenza importante per la chiesa padovana, sottolineando al tempo stesso la femminilità che ci caratterizza e che ci accomuna a questa martire».
Attraverso la dedizione definitiva, Luisa si è impegnata a vivere in povertà, castità e obbedienza, mettendosi al servizio della chiesa padovana in base al mandato pastorale ricevuto dal vescovo e ai propri talenti. «Cerco di vivere questo impegno sia come ministro dell’Eucaristia, sia nel mio lavoro – spiega Luisa, che porta nel cuore i malati anche dopo essere uscita dal reparto di medicina d’urgenza dell’ospedale Sant’Antonio di Padova – Prego per loro e spero che attraverso di me sentano la vicinanza della Chiesa, di cui sono un umile strumento».
Proprio come le altre otto collaboratrici (tutte definitive tranne una) seguite da don Stefano Margola. Non portano segni di riconoscimento, non hanno l’obbligo di vivere in comunità e fanno i lavori più disparati: medico, insegnante, manager, infermiera. «I parrocchiani ci sentono molto vicine perché condividiamo molto del loro vissuto – conclude Manuela Riondato – e siamo testimoni di come sia possibile vivere in Dio nel quotidiano».