La Chiesa prega: In esplorazione coraggiosa di quel «Dio è Amore»

La Chiesa prega: «Fa’ che siamo in grado di considerare con sapienza ciò che è della terra e di cercare sempre ciò che è del cielo». La polvere di argilla che siamo si orienta a quell’intatto mormorio dell’origine

La Chiesa prega: In esplorazione coraggiosa di quel «Dio è Amore»

Un santo scrive a una santa: «Carissima Madre, amate sempre la vostra povera cara anima che ho io, perché io amo senza misura, senza paragone, e più di quanto si possa dire, la mia carissima anima che avete voi». Con la nostra povera voce umana, il nostro povero cuore di creature, il vescovo Francesco di Sales riesce a dire l’assoluto, la beatitudine che ci è data: quando le labbra della creatura combaciano con le labbra del Creatore nell’affermare di qualcosa “kî-tôb”, che è “cosa buona”. La polvere di argilla che siamo si orienta a quell’intatto mormorio dell’origine. Ogni vero principio dell’etica, ogni dinamismo sensato della Tradizione, ogni promessa non vuota di salvezza, ogni nostalgia “logica” del cuore si radica in quel respiro-sospiro di vita: “kî-tôb”. La Chiesa prega, in un latino quasi intraducibile: «Da nobis terrena sapienter perpendere et caelestia semper inquirere ». Eloquente è la simmetria tra qui e lassù. «Fa’ che siamo in grado di considerare con sapienza ciò che è della terra e di cercare sempre ciò che è del cielo». La vocazione dell’anima, e il compito della teologia cristiana, non può essere allora che fare dell’esistenza un’esplorazione, coraggiosa e piena di riguardo, del versetto capitale delle Scritture, che prelude a ogni mistero di alleanza: «Dio è Amore» (1Gv 4,16). Perché, nella Redenzione, non sparisca il giardino, come, nell’Eucaristia, la spiga che dà il pane. Un eremita novecentesco del pensiero nota: «Un gesto, un gesto solo a volte basta a giustificare l’esistenza del mondo». In un universo disegnato dalle dita di Dio-Agape e non dalle mani vuote di un artigiano demiurgo, non può darsi un annientamento brutale del “tu” che ogni “io” è per il Signore. Il vecchio monaco Gualtiero, scrivendo ad Anselmo di Aosta una lettera piena dell’ansia di rendere grazie per un frammento di tempo benedetto, sospira: «Non già che alla mia infermità non basti il nutrimento delle Scritture; è però sempre preferibile, quando si è malati, ricevere in dono ciò di cui si avverte la mancanza. Basta talora il tocco di una sola persona a calmare chi da molti medicamenti non ricava alcun beneficio».

Anna Valerio

Dallo Spirito infiammati di gioia e amore

«Beati coloro che sono stati ritenuti degni di diventare figli di Dio. Talvolta sono come immersi nella tristezza e nel pianto per il genere umano e, pregando incessantemente per tutti gli uomini, si sciolgono in lacrime in forza dell’ardente amore che nutrono verso l’umanità. Talvolta invece sono dallo Spirito Santo infiammati di tanta gioia e amore, che se fosse possibile porterebbero nel loro cuore, senza distinzione alcuna, tutti, buoni e cattivi» (Anonimo del IV secolo).

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