«In Etiopia annunciamo il Vangelo ai più poveri tra i poveri»
Il vescovo Claudio torna sulle motivazioni che hanno portato alla scelta di aprire la nuova missione della Chiesa di Padova in terra d'Africa e riflette sugli scenari che si aprono per la nostra Diocesi accanto alla chiesa nascente nella Prefettura di Robe.
Aprire una missione diocesana in Etiopia: il perché e il significato per la Chiesa di Padova, e non solo, di questa scelta?
«Ho vissuto questa scelta come obbedienza a una chiamata rivolta alla nostra Diocesi: la chiamata si è manifestata lungo una storia che è iniziata ancora con il vescovo Antonio, ben prima della mia venuta. È stata accolta con un cammino di condivisione, di verifica e di decisione condiviso con il presbiterio e culminato in un parere pressoché unanime che mi è stato dato nel Consiglio presbiterale dell'11 maggio 2017.
Penso che le chiamate del Signore abbiano le caratteristiche della nostra storia umana, delle persone concrete che incontriamo, dei bisogni e delle necessità che si manifestano in questi precisi momenti. Se la mia decisione è presa in obbedienza alla nostra Chiesa diocesana, la nostra Chiesa accoglie una chiamata che viene dai poveri di cui padre Angelo Antolini, prefetto apostolico di Robe, si è fatto interprete; ma viene anche dalla Chiesa universale che ha indicato l’Etiopia come una delle realtà missionarie da privilegiare e che ci ha direttamente interpellati tramite il card. Fernando Filoni, prefetto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che ha visto nella storia missionaria della Chiesa di Padova l’esperienza e la capacità generativa di nuovi frutti di Vangelo, tra i poveri più poveri. In questi percorsi noi cristiani vediamo la compagnia del Signore e l’azione del suo Spirito che continuamente ci invita a farci carico delle persone e delle comunità più in difficoltà».
Cosa significa essere Chiesa in missione oggi?
«Ogni cristiano è missionario ed è incaricato di annunciare il Vangelo nei suoi ambiti di vita. Essere chiesa in missione oggi spiritualmente significa accettare di essere mandati da qualcun altro, per noi è il Signore.
In questa linea oggi si fa urgente ri-evangelizzare l’Occidente, le nostre città, la nostra cultura. Anche il nostro è terreno di missione. D'altra parte ci sentiamo responsabili dell’annuncio a tutti gli uomini del mondo e anche la nostra Chiesa locale si sente chiamata ad andare ovunque ci sia l’opportunità di parlare del Vangelo, soprattutto dove ci sono situazioni di povertà.
Anche alla luce del fatto che abbiamo maturato capacità e sensibilità che fanno percepire un privilegio evangelico lo stare con i poveri».
Dedicare due sacerdoti per aprire una missione, in un tempo in cui si fanno i conti con l'esiguo numero dei preti, cosa ci dice?
«È un segno che indica la missione come parte della nostra vita. I due preti che andranno in Etiopia si aggiungono agli altri due che in questi mesi sono partiti, uno per l’Ecuador e l’altro per lo Stato di Roraima in Amazzonia. Abbiamo anche la gioia di avere vocazioni missionarie e riconoscere i carismi che il Signore dona alla sua Chiesa è molto importante».
Tra i tre fidei donum c’è anche una giovane di 24 anni. In che modo la missione può mettere in moto anche i giovani e che cosa dice loro?
«La presenza di una giovane donna ci dice anche che la vita è importante e che va dedicata per grandi missioni e grandi ideali. I giovani ancora ne sono capaci e vanno incoraggiati. La vita è nella gioia quando è trascorsa nella generosità e nel dono di sé. Chi “parte” fa una bella esperienza, ma anche chi rimane in Italia può lasciarsi guidare dal Vangelo e donare la sua vita. L’importante è trovare la propria strada».