Emergenza povertà educativa. Ai ragazzi mancano scuola e opportunità. In Italia e in Veneto le nuove generazioni rischiano competenze
Il peso del denaro. Un recente rapporto di Save the children dimostra che la povertà assoluta spalanca le porte anche a quelle educativa. Un rischio per 1,3 milioni di minori italiani. "L’asse famiglia-scuola non è più sufficiente. La nostra società a misura di adulto deve pensare ai bambini"
In un secolo materialista, portato a considerare reale solo ciò che si vede e ciò che si tocca, la parola povertà è finita per coincidere in tutto e per tutto con il concetto di povertà economica. Ma se è comunque vero che la povertà economica resta quella più visibile e spesso sia quella che richiede gli interventi più urgenti da parte delle istituzioni, ci sono altre forme di povertà, ugualmente sfidanti, che spesso si mescolano a quella economica essendone a volte la causa, a volte l’effetto, più spesso sia causa che effetto in un circolo vizioso che tende a riprodursi all’infinito, generazione dopo generazione. Tra le povertà più insidiose troviamo la povertà educativa.
«Sappiamo che esiste una stretta correlazione tra condizioni socio-economiche difficili e insuccessi nell’apprendimento – rileva Save the children nel suo rapporto “Nuotare contro corrente. Povertà educativa e resilienza in Italia” – Una correlazione estremamente allarmante, se consideriamo che in Italia un milione e 300 mila bambini, il 12,5 per cento, vivono in condizioni di povertà assoluta. I bambini delle famiglie più povere hanno, rispetto ai loro coetanei, una maggiore probabilità di fallimento scolastico, rischiano in misura maggiore di lasciare precocemente la scuola e di non raggiungere livelli minimi di apprendimento. A loro volta, questi minori privati dell’opportunità di far fiorire il proprio talento, soffriranno, con tutta probabilità, la privazione economica e sociale da adulti».
Sarebbe errato però considerare la povertà educativa interamente legata alla dimensione scolastica. «Quando parliamo di povertà educativa – spiega Barbara Segatto del Centro interdipartimentale di ricerca sulla famiglia (Cirf) dell’Università di Padova – intendiamo anche il mancato accesso a tutte le dimensioni dell’educazione, dallo sport alla possibilità di muoversi dentro il territorio, dall’accesso alle nuove tecnologie alla fruizione degli stimoli culturali. Un esempio è quello dei bambini nati e cresciuti a Roma che non avevano mai visto il Colosseo perché nessuno li aveva mai accompagnati. Con la pandemia e la didattica a distanza l’impatto è stato molto forte: se prima la scuola poteva dare a tutti una prestazione identica, con i collegamenti non tutte le famiglie avevano a disposizione la strumentazione adatta».
Ma, ripetiamo, non si vive di sola scuola: «Al Nord c’è meno abbandono scolastico. Ma il tema delle povertà educative è presente anche qui. Una grossa fetta della popolazione manda i bambini a scuola ma poi non riesce a farli partecipare a tutte le altre dimensioni educative fondamentali per sviluppare le competenze per vivere nella società attuale». È un tema “qualitativo”, più che “quantitativo”: «La stessa Save the children – continua Barbara Segatto – parla del concetto di “comunità educante”: non si può demandare il compito dell’educazione alla sola scuola, che spesso arranca rispetto alla complessità crescente della società, rischiando di ampliare il divario dentro le classi, ma è importante che i territori si interroghino per capire ciò che manca, facendo sì che tutti si sentano responsabili».
Il tema della povertà educativa tocca anche l’urbanistica: «Lo vediamo anche in una città come Padova: alcuni quartieri sono connotati da grandi palazzine senza spazi verdi o spazi di aggregazione per i ragazzi. Per questo, la città dovrebbe interrogarsi sugli spazi che rende accessibili ai bambini e ai ragazzi, ma anche dare risposte ai bisogni di cui i ragazzi sono portatori». Molto è stato fatto: «Negli anni, anche grazie al fondo “Con i bambini”, ma non solo, sono stati avviati dei progetti per creare reti attorno ai ragazzi, nelle quali sviluppare anche le competenze extrascolastiche».
La povertà educativa spesso si origina in contesti di povertà assoluta, ma altrettanto spesso si insinua anche in famiglie che non hanno alcuna difficoltà ad arrivare a fine mese: «A volte entrambi i genitori lavorano per garantire un tenore di vita adeguato ai loro figli ma non c’è tempo per lo sport, a volte manca la tecnologia in casa… Sono situazioni che sfuggono dai radar, ma se questi bambini non possono sviluppare le loro competenze il danno sarà per tutta la società». Il rischio è che la povertà educativa di oggi si traduca in povertà assoluta nel domani. Le risorse ci sono, ma spesso non si conoscono. E anche questa è povertà. Come è stato un impoverimento l’indebolimento negli anni di alcune reti sociali, dalle famiglie allargate al buon vicinato, che permettevano di offrire prospettive diverse a un ragazzo che si stava un po’ “perdendo”. E allora, di fronte a questa povertà educativa, bisogna arricchire nuovamente la comunità rendendola più forte: «Le famiglie, rimaste sole, hanno demandato tutto alla scuola. Ma l’asse famiglia-scuola non è più sufficiente: la nostra società sempre più a misura di “adulto” deve pensare che esistono anche i bambini e i ragazzi e deve aiutarli, nella società, a sviluppare le loro competenze».