Economia e Vangelo. Consapevoli, quindi responsabili
Chiunque sia chiamato a un ruolo di responsabilità sa che c’è un tempo di attesa in cui comprende la sua missione. Poi viene il momento di decidere per il bene. La riflessione di Vanna Ceretta, economa della Diocesi di Padova
Ricordo ancora oggi con lucida precisione il momento in cui mi sono ripetuta a voce alta che ero diventata mamma e lo sarei stata per sempre: era il giorno dopo la nascita del mio primo figlio e lo stavo allattando. Non avevo scampo, ed ero felice. Il ritmo della vita mi chiedeva subito di concentrarmi su esigenze concrete, come il cambio del pannolino o il pianto del mio cucciolo d’uomo che reclamava cure e attenzioni che dovevo imparare a riconoscere, ma quel momento così nitido, ancora impresso nella mia mente, è stata la mia assunzione di consapevolezza e responsabilità di essere diventata madre.
Nel tempo le esigenze dei miei figli sono mutate: ho accompagnato il loro cammino di crescita e sono stata punto di riferimento o sono rimasta in disparte come presenza disponibile. In altri momenti, invece, sono stata chiamata a indirizzare, imporre, guidare.
Un impasto di consapevolezza, responsabilità e “potere” che si compone in una delle relazioni più significative della nostra storia e che condiziona in seguito le relazioni che tutti noi, che siamo figli, intessiamo nella vita.
Ci sono tempi di gestazione e tempi di attività, tempi di maggior consapevolezza e tempi di responsabilità e di esercizio del “potere” che il ruolo ci impone.
Nel tempo vissuto a Nazareth anche Gesù ha preso “consapevolezza” della missione affidatagli dal Padre, se ne è assunto la “responsabilità” che ha esercitato nel cammino di tre anni con i suoi discepoli nella vita pubblica, e nell’ultima settimana a Gerusalemme ha manifestato il suo “potere” fino al punto di donare la vita. Gesù esercita fino in fondo la sua missione, frutto della relazione di amore con il Padre da cui scaturisce anche la responsabilità che sente verso i fratelli: responsabilità e potere assunti senza sconti, per amore nostro e della verità.
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità».
Gesù non si lascia ingannare da chi lo sta adulando e vuole metterlo in difficoltà perché ha condannato il loro modo di gestire le cose di Dio, non abdica al suo ruolo neanche sapendo che sta rischiando tutto, e alla domanda «è lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?», risponde: «Perché volete mettermi alla prova?».
La tentazione è proprio quella di fare confusione mettendo in contrapposizione la spiritualità alla vita quotidiana, come se fosse possibile per una madre contrapporre l’amore per il figlio alle azioni necessarie per farlo crescere e accompagnarlo nella vita: una cosa illumina l’altra rendendo unitario il nostro volto. Tutto concorre a darci una vita piena: la nostra storia, l’appartenenza sociale, il lavoro, le amicizie, gli affetti più intimi, la spiritualità di cui siamo impregnati.
I nostri gesti e le nostre scelte comunicano, inoltre, quel frammento di Dio che abbiamo scoperto in noi e che guida un po’ alla volta la nostra vita verso di Lui.
«Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
Nel denaro c’è l’immagine di un uomo che governa, che amministra la città, e Gesù sa che l’uomo sperimenta la fraternità in quei campi dove la vita di ciascuno s’interseca con il destino di tutti.
L’immagine di Dio a cui fare riferimento è il suo Figlio che ci insegna la strada per assumere anche noi il ruolo di figli consapevoli dell’amore del Padre, per accettare la responsabilità di esercitare un potere che, come in questa situazione, diventa esercizio di pazienza, di amore infinito per educare e far crescere. La profondità di questa frase ci chiama, quindi, a impegnarci concretamente nella realtà sapendo che tutto appartiene a Dio e noi ne siamo custodi e amministratori.
Giorgio La Pira diceva: «Lasciare, pur restandovi attaccati col fondo dell’anima, l’orto chiuso dell’orazione; bisogna scendere in campo; affinare i propri strumenti di lavoro: riflessione, cultura, parola, lavoro… trasformare le nostre strutture errate della città umana; riparare la casa dell’uomo che rovina» (Giorgio La Pira, Un San Francesco del Novecento, ed. Ave).
La chiamata è proprio quella di stare nel nostro lavoro, nelle nostre comunità, nella realtà delle nostre vite, pur attaccati alla preghiera ma scendendo in campo, mettendo a frutto i doni ricevuti per riparare la casa dell’uomo che va in rovina.
San Francesco aveva ricevuto questo mandato dal crocifisso di San Damiano, «va e ripara la mia chiesa che è in rovina», e un po’ alla volta ha compreso che non si trattava di un edificio da ristrutturare ma di una comunità di fratelli il cui volto non rifletteva più il volto di Dio, e si è spogliato di tutto per avere la libertà di amministrare in nome di Dio e non possedere per se stesso.
Questa spoliazione dai beni ha portato il francescanesimo a dare risposte nuove.
«Un rifiuto radicale del denaro e della ricchezza che ha generato la più profonda comprensione della natura dell’economia [...]. È l’apoteosi della gratuità: rinunciare a una capacità e libertà umana (usare denaro), che è parte del repertorio di ogni essere umano adulto, per farsi garanti e custodi di un valore comune [...]. I francescani della prima e seconda ora, rinunciando al prezzo scoprirono il valore delle cose [...] Le centinaia di Monti di Pietà che i francescani minori fondarono (senza esserne proprietari) dalla seconda metà del Quattrocento non sarebbero nati senza quella fedeltà totale al non uso del denaro» (Luigino Bruni, Avvenire, 5 dicembre 2020).
Siamo chiamati pertanto a stare nella storia leggendone i segni che ci chiedono decisioni, scelte, che rischiano di cambiare il corso della nostra vita e quella di molti altri.
La potenza dell’invito di Gesù a staccarsi dal denaro per poterlo valorizzare a favore dell’uomo ci chiede una profonda e continua conversione per assumere, con consapevolezza e responsabilità, il potere che in forza dell’amore verso i nostri fratelli dobbiamo esercitare ogni giorno, come una madre verso i propri figli.
Vanna Ceretta
economa della Diocesi di Padova