Chiese semivuote? Ogni domenica al roveto ardente

Chiese semivuote? È necessario trasformare il libro liturgico in un palpito vivente

Chiese semivuote? Ogni domenica al roveto ardente

«Cosa dobbiamo fare?», chiede il parroco di fronte alla chiesa semivuota. La questione in gioco non riguarda eventuali accorgimenti tecnici o tattici. Ci impone di domandarci se i soggetti che celebrano sono capaci di far cantare l’Agnello. È la sua irruzione a chiamare a sé gli uomini, ma per arrivare a questo è necessario trasformare il libro liturgico in un palpito vivente. Sbagliamo se sistemiamo i fiori, o la casula sul bancone, e poi lo apriamo. Dovremmo fare il contrario.
Il colore della casula, nella domenica Laetare, nasce dall’antifona d’introito. Le monache che, nel Seicento, al telaio, passavano i fili oro e rosaceo per fare le pianete, cantavano «Laetare Jerusalem». Se non sento il grido della Maddalena, come potrò, io, architetto, edificare un ambone? O vestire di fiori l’altare, se non sento la primavera del Risorto che palpita? I monaci che componevano le antifone gregoriane lo facevano perché dovevano costruire il repertorio nazionale, o perché amavano ciò che cantavano e servivano con l’arte l’amore di Cristo? Noi, la domenica, andiamo di fronte al roveto ardente. Per questo i presbiteri mettono l’abito del battesimo e lo stringono ai fianchi, cingendosene. E lasciano che l’olio della sacra unzione raggiunga i loro piedi. E vengono ricoperti di una grande ruota di luce, di colore. Perché la terra che pestano è santa. San Carlo Borromeo diceva: la messa comincia in sacrestia. È lì che sai che stai per entrare nel giardino, dove arde il roveto e non si consuma.

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