Caritas. Medici ai margini: la Struttura alta professionalità immigrazione dell'Ulss 6
Maria Grazia D'Aquino, medico dell'Ulss 6, da 40 anni presta servizio sanitario a profughi, richiedenti asilo e persone senza dimora.
Al centro le persone che la società definisce “normali”. Figli, lavoro, un tetto sopra la testa, la macchina in garage, le vacanze due volte l’anno. Ai margini, tagliati via ai bordi delle foto di famiglia, i “dimenticati”, senza lavoro, senza casa, senza passato e men che meno futuro, sospesi in un eterno presente di precarietà che si consuma tra strada e abbandono.
C’è chi di queste persone ai margini, donne e uomini, stranieri e italiani, anziani e giovani si occupa da quasi quattro decenni. Maria Grazia D’Aquino, dirigente medico presso l’azienda sanitaria Ulss 6 Euganea, quindici anni fa ha messo in piedi la Struttura alta professionalità immigrazione e si occupa anche dell’area materna e infantile per l’azienda sanitaria.
La povertà all’origine del disagio
«Lavoro in questo campo da 36 anni e la mia esperienza è maturata occupandomi di marginalità tutti i giorni. Ho una visione abbastanza generale di ciò che passa dai nostri lidi dal punto di vista sanitario, che non va mai disgiunto da quello che accade dal punto di vista sociale. Ed è quello che fa la mia struttura».
Il fenomeno della marginalità si lega soprattutto a quello della povertà, povertà intesa in tutte le sue declinazioni: «Mancano le risorse economiche, manca il lavoro e mancano le prospettive future. C’è chi è in grado di reagire alla povertà e chi smette di combattere, diventando anche un senza dimora». Stranieri o italiani poco conta: «Nel 2013 abbiamo istituito uno sportello di ascolto per i senza dimora, intitolato “La salute non ha casa”. Pensavamo venissero soprattutto gli stranieri, invece sempre più italiani hanno cominciato a rivolgersi a noi in tempi più recenti. La metà di chi arriva è giovane, spesso ha rotto i rapporti con i familiari, è uscito di casa e non riesce a trovare una sistemazione».
Migranti e povertà
Negli ultimi anni la struttura ha avuto un ruolo centrale nella gestione dell’emergenza sbarchi. «Abbiamo visitato personalmente 4.700 profughi e richiedenti asilo. Ne vediamo ancora, anche se non a flusso continuo come qualche anno fa. Siamo noi i primi a controllare lo stato di salute: solo dopo il passaggio in questura e la compilazione dei documenti potranno avere una tessera sanitaria. Fino ad allora siamo noi a occuparci di visite e accertamenti». Le condizioni di salute di chi arriva sono buone: «Tra i profughi non ci sono malattie infettive. Su quasi cinquemila abbiamo trovato davvero poche malattie: gli africani tendono a soffrire soprattutto di pressione alta. Ed è un miracolo che molte donne in stato di gravidanza arrivate qui senza aver fatto alcun controllo partoriscano senza problemi». Il rischio più grosso è rappresentato piuttosto dall’eterno limbo in cui vivono queste persone: «Chi non viene riconosciuto come avente diritto di protezione, i cosiddetti migranti economici, che fine fanno? Le donne, specie le nigeriane, finiscono in strada vittime del mercato della prostituzione, gli uomini nella microcriminalità».
Una protezione in inverno
Il problema dei senza dimora diventa emergenza nei mesi invernali. La Struttura immigrazione dell’Ulss 6 ricopre un ruolo fondamentale nel grande gioco di squadra che vede protagonisti enti, associazioni e Caritas nell’accoglienza invernale: «Caritas e Cucine popolari offrono un notevole servizio alla nostra città, oggi più che mai fondamentale. Posso dire che dal 2015 al 2018 è più che triplicata la presenza nell’accoglienza invernale. Colpisce la presenza di italiani, specie giovani, ma anche di donne: tante badanti e colf rimaste senza impiego, incapaci di pagare l’affitto, si sono viste costrette a riparare nelle strutture messe a disposizione per le notti più fredde. Non ci sono più garanzie di vita: chiunque può diventare un senza dimora. E le difficoltà, nascoste, continuano a crescere. Ce ne accorgiamo vedendo quante persone fanno fatica a pagare il ticket».
L’accoglienza invernale offre comunque la possibilità di visitare persone solitamente lontane dai presidi medici: «Anche loro non presentano nulla di infettivo o di contagioso. È importante però far sì che queste persone non siano abbandonate a loro stesse. Cerchiamo dunque di lasciar loro il messaggio di venire da noi se hanno bisogno di qualcosa: non tutte le Ulss sono dotate di un servizio come il nostro capace di progetti di questo tipo».