Cammino di iniziazione cristiana. Grande avventura per tutta la Diocesi. Il ricordo di mons. Renato Marangoni
Mons. Renato Marangoni ripercorre i passi che hanno dato origine al ripensamento. Tra inquietudine pastorale e passione evangelica. Un germoglio del nuovo percorso, da coltivare ancora senza incertezze, sono i genitori
«È stata una “grande avventura”, perché attorno all’iniziazione cristiana sembravano confluire tutte le preoccupazioni pastorali che negli anni precedenti avevamo incontrato. Era una questione “generale”». Spiega così, mons. Renato Marangoni, vescovo di Belluno-Feltre, com’è nata in Diocesi di Padova l’idea di una “nuova impostazione” nella catechesi. «I grandi temi dopo il Giubileo del 2000 potevano così intrecciarsi: “Vivere e comunicare la fede oggi”, “Unire fede e vita”, “Comunità che generano alla fede”. Quest’ultimo, in particolare, toccava il centro della vita delle parrocchie» spiega l’allora vicario per la pastorale della nostra Diocesi.
Quali furono i primi passi?
«Si cominciò a ripensare l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi nell’anno pastorale 2010-11. Vennero interpellati gli organismi di consultazione diocesani e questo lavoro attraversò anche la preparazione del 2° convegno di Aquileia. La domanda era: chi è la comunità cristiana? Rilevo il “chi?” rispetto al solito interrogativo “che cosa?”. Un altro elemento decisivo in Diocesi di Padova in quegli anni fu il catecumenato degli adulti: uomini e donne, giovani, a volte famiglie intere, che domandavano di diventare cristiani. Fu necessario chiedersi: come si diventa cristiani? Anche ragazze e ragazzi, spesso di altra provenienza etnica e religiosa, chiedevano di diventare cristiani. Questa richiesta metteva in discussione nelle parrocchie interessate gli automatismi catechistici e le conseguenti tappe dei sacramenti, vissuti più come conclusione della catechesi ed evento straordinario. Un insieme di fermenti che ha portato a ripensare l’iniziazione cristiana. Strategico fu “lavorare insieme“ a livello di regia diocesana. Tale metodo fu una delle risorse e delle forze del cammino di re-impostazione intrapreso».
Che obiettivi ci siamo dati, come Chiesa di Padova, con questo percorso? Quali sono state le scelte di fondo?
«Ci si è messi alla ricerca di una impostazione nuova per i cambiamenti socio-culturali e socio-religiosi in atto. Un principio fondamentale, forse rimasto inattuato, è stato quello della “personalizzazione delle fede”. Il contesto di cristianità era saltato. Si doveva puntare a far diventare scelta libera e personale ogni itinerario di fede e di appartenenza ecclesiale. E, contemporaneamente, le realtà nuove delle persone, delle famiglie, della stagione adulta della vita... Sia i ragazzi sia gli adulti manifestavano un volto nuovo di fronte alla prospettiva di credere e di credere insieme nella Chiesa. C’era una sana “inquietudine pastorale” e contemporaneamente una nuova “passione evangelica”. Si è iniziato con i ragazzi e il mondo di adulti attorno a loro: era una risorsa “antica” delle nostre parrocchie».
Che germogli ha visto spuntare nei primi anni del cammino? Quali le fatiche?
«Parlo di un germoglio che penso sia quello da coltivare senza incertezze: si tratta dei genitori, persone adulte che si sono lasciate coinvolgere, sia come accompagnatori sia come partecipanti al cammino loro proposto. Mi aveva suscitato meraviglia l’impegno di formare gli accompagnatori e gli echi delle prime esperienze di accompagnamento dei genitori. Una via nuova percorribile dove il Vangelo si offriva come possibilità di essere frequentato e riscoperto. C’erano anche tante fatiche, provocate dalla paura che tutto ciò avrebbe comportato. Gli investimenti di risorse umane da prevedere, le resistenze alle “sorprese dello Spirito”, la “bradicardia” di un certo ministero pastorale, la prassi consolidata».
Se tornasse indietro, proporrebbe ancora questo cammino?
«Proporrei ancora un ripensamento dell’iniziazione cristiana, perché le persone – ragazzi, giovani, famiglie, adulti – cambiano e sono nuove rispetto ai parametri di conoscenza che la Chiesa tende a standardizzare. E perché la “grazia” – come puro dono gratuito di Dio – abbisogna sempre di persone disposte a crescere e incontrarsi fraternamente nella libertà e nella responsabilità».