18 giugno. Festa di san Gregorio Barbarigo. Testimoni della Grazia: cinque preti si raccontano
Parlano don Floriano Riondato, prete da 75 anni. Don Lino Minuzzo, 65 anni di ministero. don Sergio Zorzi, ordinato 60 anni fa. Padre Roberto Nava, camilliano che ha vissuto tutti i suoi 50 anni da prete nella parrocchia padovana affidata alla sua congregazione dal vescovo Bortignon. Infine, don Emanuele Degan, parroco di Campolongo Maggiore, prete da 25 anni.
Martedì 18 giugno, memoria di san Gregorio Barbarigo, il vescovo che ha riformato il Seminario dando vita all’istituzione come la conosciamo oggi, è l’occasione per i presbiteri padovani di tornare alle radici della propria vocazione. Ogni anno è la festa del clero, motivo di ricordare preti novelli, chi non c'è più e chi festeggia anniversari importanti.
Il racconto di alcune di queste testimonianze di fede e di dedizione a Dio e alla Chiesa ha un punto di partenza obbligato. Al terzo piano di Casa sacerdoti, all’Opsa di Sarmeola, da due anni vive don Floriano Riondato, 98 anni di età, 75 di sacerdozio, 73 dei quali dedicati ai suoi tre grandi amori terreni: i ragazzi, la musica, l’istituto Barbarigo. Sopra la scrivania, accanto al breviario, ci sono i suoi spartiti e il flauto traverso, delizia di una vita, piccola croce ora, «perché le note non escono più come voglio io».
Una vocazione nata in casa, la sua. Di lì al Barcon, «con i tedeschi in seminario che avevano creato un’officina per aeroplani al pian terreno delle classi», il passo è breve. Da prete, due anni a Camponogara e poi subito il Barbarigo e l’insegnamento della musica, smesso solo nel 2010. A don Floriano si deve la nascita della banda, dell’orchestra e dell’amatissima orchestra di arpe, un unicum in Italia, riconosciuta in tutta Europa. «Non ricordo nemmeno quanti strumenti ho acquistato negli anni. Io li studiavo da autodidatta, la notte, quando i 42 convittori dormivano». Anni di relazioni e grande dinamismo, poi arriva la vecchiaia e gli anni chiedono un tributo: «Bisogna rinunciare a tanto. Proprio come dice Gesù a Pietro: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”. Ma la grazia è che in tutti questi anni ho sempre sentito vicino il Signore, ho sempre sentito il suo sostegno».
A casa Card. Callegari vive invece don Lino Minuzzo, 65 anni di sacerdozio – come don Igino Cardin, don Alberto Celeghin, don Luigi Kalb e don Dante Zenato – e 88 di età. Il suo appartamento è ordinato come la sua mente. Dialogare con lui significa ricomporre la storia ecclesiale padovana del post Concilio: «Sono qui a San Giuseppe già da 13 anni – ci dice alle 9 pensando al funerale che ha alle 10.30 – prima sette anni a Rocca d’Arsiè, 11 a Madonna Incoronata e 23 a San Domenico. Sono stato cappellano prima del Concilio, i patronati scoppiavano, ci fu l’esplosione dell’Ac, un’esperienza che i preti venuti dopo non hanno potuto fare. Dopo il Concilio il fervore del rinnovamento, ho potuto riprendere in mano i testi, approfondire e contribuire all’aggiornamento di preti e laici. Quindi il Sessantotto e gli Anni di piombo in città: i ragazzi dei patronati, da un giorno all’altro, si sono rivoltati contro l’istituzione Chiesa, anche per gli importanti referendum. L’Ac è andata in crisi per la scelta religiosa non compresa. A San Domenico mi è stato chiaro come il laicato andasse responsabilizzato, attraverso la formazione spirituale e culturale: la Cei ne parla dal 1976, è ora di agire aprendo alle donne». E la relazione con Dio? «Un insieme di sorprese che non si spiegano se non a distanza di anni, rileggendo il Suo disegno invisibile. Il bello è prendere tutto con entusiasmo, privilegiando il dialogo. Certo, servono motivazioni e l’attività».
Don Sergio Zorzi invece vive in Casa del clero. Lui festeggia il 60° dall’ordinazione, come don Giuseppe Cavinato, don Germano Corà, don Mario Morellato, don Alberto Vallotto e don Orlando Zampieri. Anche dalle sue parole traspare la gioia di aver seguito il Signore per tutta la vita, ispirato da un motto trasmessogli da mons. Arcangelo Rizzato: nulla domandare, nulla rifiutare, di tutto ringraziare. Così, dopo il sacramento dell’ordine è arrivata la laurea in scienze, l’insegnamento in seminario e poi i 21 anni di parrocchia a San Benedetto, che ha visto cambiare radicalmente. La svolta spirituale? «L’incontro con gli universitari di Comunione e liberazione, nei primi anni Settanta – racconta don Sergio – Mai avevo visto una realtà capace di leggere l’umano trovando le risposte in Cristo come Cl». Inizia un legame con il movimento che però non arriverà mai al distacco dalla Diocesi. Alla nomina da parroco, don Giussani fa arrivare a Padova un biglietto: “Lieto della tua nuova missione, prego la Madonna che te la renda consolazione perché noi possiamo godere con più pienezza della tua amicizia e del tuo esempio”. «Il fatto è questo – riprende don Sergio – della parabola del Padre misericordioso noi prendiamo solo la parte del peccato del figlio e come lui ci attendiamo la punizione al ritorno. Rischiamo di vivere ripiegati sull’esame dei nostri peccati e non vediamo quanto Dio ha fatto per noi: siamo chiamati a vivere da risorti e a riprendere tutta la dignità con cui Lui ci ha pensati!».
Padre Roberto Nava è un Camilliano di Seregno (MB), ma ha trascorso tutti i 50 anni del suo sacerdozio a Padova, a San Camillo. Quest’anno festeggia con don Antonio De Guio, don Roberto Gastaldi Cibola, don Sergio Mercanzin, don Pietro Milan, don Marcello Milani, don Remo Morello, don Romolo Morello, don Gian Carlo Smanio, don Gianni Spagnolo, don Giuseppe Toffanello e don Renzo Zecchin. La sua è una vita donata: a due anni una setticemia stava per portarlo via, per questo la madre non lo vedeva bene in corsia, accanto ai malati, secondo il carisma del suo ordine. Padre Roberto però rimase fedele alla congregazione e il disegno di Dio lo ha reso parroco per tutta la vita: «Il carisma è stato accolto da una parrocchia che con sguardo profetico mons. Bortignon affidò a noi: qui vivono molti medici, ci sono l’ospedale e l’Oic e da vent’anni la casa di accoglienza per familiari dei malati, ne sono passati 18 mila. A Padova sono maturato come uomo e come prete. Credo che il prete cresca quando attraversa il dolore e quando lo condivide con la gente: se il prete ama, entra nelle famiglie e costruisce la comunità. Io ho goduto molto dell’esempio di alcuni laici». Un motto? «Accogliere e non giudicare. Alla fine la vita assomiglia a un tappeto: un insieme di nodi, che se girato diventa un disegno armonioso».
Don Emanuele Degan, parroco di Campolongo Maggiore, di anni di sacerdozio ne festeggia 25, esattamente come don Fabio Artusi, don Renato Cappelletto, don Domenico Fabbian, don Federico Fortin, don Daniele Marangon, don Carlo Pampalon, don Marco Pedron, don Gianluca Santini. «Di fronte al mondo mi sento piccolo. Ma il Signore mi chiama ogni giorno a confermare la fede mia e altrui per come posso. I dubbi non si sono dissolti, ma avanzo in questa splendida avventura per provare a raccontare il Vangelo com’è e non come l’ho capito io. Nelle parrocchie in cui sono stato, Vanzo e prima da cappellano San Giuseppe, Romano d’Ezzelino e Villafranca, mi sono nutrito della fede di molti laici. In questo 25° mi risuona forte un verso del cantico del profeta Abacuc, “le greggi verranno a mancare negli ovili, e non ci saranno più buoi nelle stalle; ma io mi rallegrerò nel Signore”. Forse per noi Chiesa è davvero venuto il momento di scegliere criteri diversi rispetto a una società che tende a contabilizzare e controllare tutto».
Da decenni un appuntamento fisso per i nostri preti
La festa del clero padovano, nel giorno della memoria liturgica di san Gregorio Barbarigo (il 18 giugno), è tradizione da decenni. Il ritrovo quest’anno sarà alle 9 nell’aula magna della facoltà teologica del Triveneto. Dopo l’inizio con la preghiera, ci sarà un momento di testimonianze e interviste. Al centro dell'incontro di quest'anno infatti c’è la vita dei preti e in particolare di coloro che festeggiano importanti anniversari di ordinazione, come pure il ricordo di chi negli ultimi dodici mesi ha fatto ritorno alla casa del Padre.
Alle 11.15 ci sarà la messa presieduta dal vescovo Claudio e a chiudere la mattinata sarà il pranzo condiviso. Per la prima volta quest’anno, oltre ai preti diocesani, verranno festeggiati anche i religiosi oriundi di Padova oppure che prestano servizio da tempo nelle comunità della Chiesa patavina.
Nel 2020 il Seminario voluto dal Barbarigo compie 350 anni
Angelo Giuseppe Roncalli lo aveva detto quand’era Patriarca. «Se diventassi papa – sintetizziamo il suo pensiero – canonizzerei Gregorio Barbarigo». Tale era la stima per il prelato veneziano (1625-1697) che, divenuto Giovanni XXIII, proclamò santo il vescovo di Bergamo e Padova il 26 maggio 1960. Il prossimo anno saranno quindi 60 anni dalla canonizzazione, ma gli anniversari non finiscono qui.
Nel 2019, infatti, Padova celebra i 450 dalla fondazione del suo Seminario, il 29 dicembre, come prescritto dal Concilio di Trento. Mentre nel 2020 verranno ricordati i 350 dall’apertura del nuovo Seminario, rifondato proprio da san Gregorio Barbarigo con la formazione prevista fino all’ordinazione, aperto nella sede attuale il 4 novembre 1670. Prima, a quanto sappiamo, i chierici dai 17 anni in poi si impratichivano presso i parroci fino all’ordinazione.