Terra terra… Natale, quando un presepe fa paese e paesaggio
Anche il Natale è una questione di paesaggio. Quello esteriore che vediamo con gli occhi del corpo. E quello interiore con gli occhi dello spirito. Durante tutto l’anno è tornato spesso in queste considerazioni il tema del “paesaggio”: primo perché siamo figli della nostra terra, con le radici che ci portiamo destinate a restare in noi come un “imprimatur territoriale”. Secondo, perché siamo noi a modificarlo con le nostre scelte quotidiane, di cui si vedono spesso le conseguenze.
Così, il Natale senza paesaggio, non sarebbe Natale. Ci ricama sopra la pubblicità moderna, attingendo dalle emozioni recondite che ognuno ha ereditato: il paesaggio innevato, il focolare, la famiglia riunita e via elencando.
Mettiamoci poi gli alberi che addobbiamo, dimenticandoci spesso dei regali che loro ci fanno in tutto l’anno (ossigeno, frutti, legno, carta ecc.). Le città che si vestono a festa con il florilegio dei mercatini natalizi, veri e propri palcoscenici dell’inutile che da bravi consumatori abbiamo già digerito come imposizione consumistica.
Resta il presepio, l’elemento autoctono più storico che si sia conservato fino ad oggi
Con esso, entra nelle nostre case lo spirito stesso di Francesco d’Assisi, che sette secoli fa diceva di «voler vedere con gli occhi del corpo» (quelli del suo spirito erano turbati dagli eventi che lo sovrastavano a tre anni dalla morte), e usò giustappunto un paesaggio per vivere il suo e nostro Natale.
Rievoca dentro una grotta nel piccolo borgo di Greccio (Rieti), la notte del 24 dicembre 1223, il primo presepio. Ed è talmente sentito questo suo desiderio corporale di preparare un paesaggio di felicità, da diventare per lui una forma terapeutica.
Così come dovrebbe essere per noi, se solo spolverassimo i simboli del Natale dalle incrostazioni commerciali. Cito l’esempio della simbologia naturale del sole invictus con il solstizio d’inverno di queste giornate, con la luce che rinasce dall’oscurità. La pedagogia natalizia in questo non finisce di stupirci. Poi sussiste la retorica «dell’essere sente tutti più buoni in questi giorni». Merito, anche, del paesaggio più sereno e festante che ci circonda? Forse sì!
Poi tutto torna alla normalità, con le nostre scelte, abitudini, vizi, sprechi e gli sfregi al territorio
Strano essere l’uomo. Capace di grandi coesioni, come di un individualismo scellerato. Se solo suggessimo dal Natale quel gusto di comunità, di coesione che manca così tanto...
In questi giorni sono impegnato in prima persona nella realizzazione di uno dei presepi viventi più conosciuti e importanti del Veneto e d’Italia, che si terrà il 27 e 28 dicembre dalle 14 alle 19 nelle grotte preistoriche di San Donato di Villaga, sui colli Berici.
L’imponenza dell’evento che ha per tema “Una luce che illumina il cosmo” – con 200 figuranti, 11 scene: dalla resurrezione, al Natale di Francesco, fino a quello vissuto in trincea dai soldati nel 1917, e poi quello povero del 1950 – mostra l’immane dispiego di forze di una minuscola comunità come quella di Villaga, che ti permette di vivere ancora quel clima da “villaggio” tanto caro a Pascoli, Leopardi e Pavese. Uomini del territorio e nel territorio, sono quelli che ancora hanno la fortuna di vivere in un piccolo paese.
Non uno scampolo di nostalgia, o bucolica poesia. Ma una realtà, sempre più rara, che solo quando la vivi, intuisci l’importanza di quanto abbiamo perso o stiamo perdendo. Il mio auguro è che questo ridiventi un Natale di paese per tutti noi.