Le Marche a un anno dal terremoto. Dov'è finita la ricostruzione?
Un anno dopo, dentro il “cratere” delle Marche. È una sorta di buco nero che terremota davvero tutto: gente e istituzioni, luoghi e mass media, edifici e animali, vite quotidiane e fiducia nel futuro. I numeri lasciano di stucco. A cominciare da 1.087.252 virgola 75: sono le tonnellate di macerie, che la Regione Marche stima nell’area dei 53 Comuni fra Ascoli Piceno, Macerata e Fermo.
Delle 1.885 “casette” post-emergenza finora ne hanno consegnate appena 26, per di più a sorteggio.
Infine, le pratiche di censimento dei 12 mila immobili su cui occorre intervenire a maggio avevano prodotto soltanto 67 progetti…
Ma inquieta perfino di più la catastrofe mediatica, perché le Marche non sono entrate quasi mai sotto i riflettori del sisma (erano altri i simboli…) e con il passare dei mesi non hanno più fatto notizia.
Sintetizza sconsolato Mario Sensini, giornalista del Corriere della Sera: «Nei borghi dell’Appennino, è terremotata anche l’informazione. Così ho aperto il blog sibillaonline proprio per cercare di garantirla, come nel caso dell’ordinanza che permette ai Comuni di ripristinare i cimiteri distrutti in deroga alle leggi esistenti. I due articoli dell’ordinanza, cioè meno di cento parole, sono stati scritti in dieci mesi…».
E la scrittrice Silvia Ballestra (che ha appena pubblicato con Giunti Vicini alla terra, raccontando il sisma degli animali) scandisce: «Le informazioni dal basso, che girano in rete nei social come nelle riunioni dei comitati popolari, diventano l’antidoto alla propaganda sulla ricostruzione che per i politici dovrebbe combaciare con il progetto di centro commerciale a Castelluccio o con quello della pista ciclabile da 5,4 milioni, frutto degli sms solidali. Addirittura i giornali locali sembrano aver abdicato a una funzione minimamente critica, in un contesto sempre più delicato in cui ci si gioca il futuro di migliaia di persone. Nessuno sembra aver nemmeno la voglia di chiedersi come si fa, se tocca a soli 20 geometri gestire l’intero patrimonio edilizio terremotato».
È la delusione che sconfina in rabbia. Con la paura del definitivo abbandono, dopo l’ultima scossa nella notte del 22 luglio scorso.
E l’incubo di una “catastrofe sociale” nei borghi sempre più lontani dai palazzi del potere. A San Lorenzo, frazione di Fiastra sulle sponde del lago artificiale, il festival autogestito “Terre in moto” è servito soprattutto a resistere alla deriva della solitudine nell’indifferenza del resto d’Italia.
Il blogger Wolf Bukowski (che per i tipi di Edizioni Alegre ha mandato in libreria La santa crociata del porco) mette l’accento proprio sulla “scossa popolare” registrata a Fiastra: «Emerge la correttezza della chiave di lettura su processi istituzionali messi o non messi in campo nel cratere delle Marche, magari con l’annuncio degli “interventi” delle mega-aziende calate dall’alto, forse con la tentazione della zona economica esentasse. Qui si intuisce una perfetta continuità prima e dopo il terremoto. I tagli a sanità, istruzione, trasporti, servizi c’erano già prima della "strategia dell’abbandono" perseguita in questi mesi dalla Regione Marche».
Basta la mostra fotografica curata da Francesco Spè a restituire la posta in gioco nella partita del dopo-sisma
«Abbiamo seguito come filo conduttore le “Storie dai borghi” raccolte da Loredana Lipperini. Una narrazione che inizia dalle scosse di agosto e ottobre raccontando i problemi, le mancanze istituzionali, i piccoli drammi quotidiani, ma che narra anche la tenacia, la voglia di ricominciare, le storie di rinascita che sono nate e che nasceranno come reazione al terremoto».
A Fabriano nel 1997 si era seguito il “modello Friuli” nella gestione dell’emergenza che deve approdare alle sicurezze oltre le macerie. Vent’anni dopo, invece, il “popolo dei Monti Sibillini” è stato traslocato sulla costa senza ancora intravvedere la parvenza di normalità all’interno della zona rossa: «Mia madre di 95 anni è sfollata con la sua badante. Come può sopportare continui spostamenti?».
Hotel, campeggi, pensioni dell’Adriatico ora servono ai turisti.
Ma casette di legno, roulotte o container sono troppo spesso un miraggio sull’Appennino. Nel frattempo, le famiglie si smembrano fra “pendolarismo forzato” con figli sparsi in scuole diverse e vecchi genitori sempre più spaesati.
Raffaele Pozzi si era trasferito da Como nel cuore dell’Appennino marchigiano proprio alla vigilia del terremoto. E non smette di crederci:
«Con 50-80 mila euro di spesa si può in molti casi ricostruire un’abitazione. È il costo di una famiglia tipo ospitata per mesi in riva al mare. Del resto sono stati distribuiti a pioggia 5 mila euro per interrotta attività economica, senza preoccuparsi dei custodi della biodiversità che tramandano il sapere dell’esperienza in questa terra. Qui l’agricoltura di sussistenza è una vera tradizione. Produce bene alimentare, non cibo industriale. Davvero non importano valori come genuinità biologica, cura del territorio, radici delle comunità?».