«Alziamoci, Gesù ci chiama!»
Ecco la prima intervista al nuovo vescovo di Padova mons. Claudio Cipolla nella sua parrocchia di Sant'Antonio di Porto Mantovano, dove martedì scorso una ristretta delegazione della diocesi di Padova è andata a incontrarlo per presentargli un primo assaggio della diocesi che papa Francesco gli ha chiesto di guidare. Ecco le immagini della visita.
Martedì mattina una piccola delegazione della chiesa di Padova parte in direzione Mantova. L’appuntamento è in parrocchia, quella di Porto Mantovano intitolata a sant’Antonio da Padova che don Claudio guida dal 1998. Ci accoglie in cortile e ci fa strada in canonica, tono affabile e stile amicale che rendono ancora più autentiche le parole indirizzate alla diocesi e lette dal vescovo Antonio sabato 18 in episcopio annunciando la sua nomina.
Ci sono l’amministratore diocesano mons. Paolo Doni, il vicario per l’apostolato dei laici mons. Renato Marangoni, l’economo diocesano don Gabriele Pipinato, il rettore del seminario don Giampaolo Dianin. Li segue la pattuglia dei “comunicatori”: c’è il direttore dell’ufficio diocesano don Marco Sanavio, il direttore dell’ufficio stampa Sara Melchiori, c’è il direttore della Difesa e c’è Giorgio Boato, che con la sua macchina fotografica è presenza assidua a tutti gli eventi della vita diocesana.
E questo, nella sua apparente semplicità, è davvero un evento. Andiamo a conoscere il nuovo vescovo, don Claudio Cipolla, che tra qualche settimana farà il suo ingresso in diocesi. Le date si vanno stabilendo quasi in tempo reale: il 27 settembre l’ordinazione episcopale a Mantova, il 18 ottobre l’abbraccio della chiesa che papa Francesco gli ha chiesto di guidare. «E io sono proprio convinto che sia stato uno scherzo del papa – racconta sorridendo – Francesco deve avermi trovato come ultimo candidato nella terna destinata a qualche diocesi ben meno importante e chissà perché mi ha scelto per Padova, non può essere andata diversamente...».
Come ha saputo della nomina?
«Quando mi hanno telefonato ero in montagna. Faceva caldo, dico “vado via un giorno”. Arrivato in rifugio ricevo la chiamata da Roma e la richiesta di passare in nunziatura. Lì ho capito cosa stava succedendo: d’altronde, cosa mai avrebbero potuto volere da un semplice prete come me? Sono sceso a Roma carico dei dubbi e delle obiezioni che accompagnano ciascuno di noi di fronte a nomine molto più semplici – ma perché proprio io, ma siete sicuri che possa farlo, ma davvero non c’è un candidato migliore... – poi tutto si è risolto in poche parole. “Se non ha gravi ragioni personali, private, che noi non conosciamo circa l’idoneità – mi è stato detto – non c’è ragione di discutere. In fondo non spetta a lei decidere, lo ha voluto il papa”. Ecco, arrivo a Padova perché non dipende da me scegliere, perché c’è solo da fidarsi e affidarsi...».
Don Claudio, ha scelto come motto episcopale “Coraggio! Alzati, ti chiama!”...
«La mia idea era che Gesù non si vede sempre, ma è lui che chiama. Ho questa scultura qui in canonica opera di un artista locale. Ci sono i due discepoli che – come racconta Marco – non avevano sentito il cieco seduto lungo la strada a mendicare che cercava di attirare l’attenzione di Gesù. È Gesù che li invita a chiamarlo, e i discepoli trasferiscono al cieco la sua parola e lo accompagnano a lui... “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Ecco, questo per me è il compito della chiesa, nelle loro figure io ci vedo non il vescovo ma la chiesa tutta, vescovo, preti e cristiani insieme, che sa portare la povera gente a Gesù...».
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La sua prima lettera alla diocesi è firmata “don Claudio”. Come dobbiamo abituarci a chiamarla?
«Così, semplicemente don Claudio».
Vuole che diamo del tu al vescovo?
«Certo. Siamo cristiani, e il mondo deve vedere che i cristiani sono fratelli, senza ripetere tra di loro gli schemi che tante volte imprigionano la società. Accetterò tutto, ma ho la sensazione che queste forme di rispetto servano più a mettere in rilievo presunte differenze che non a mostrare l’unità, il fatto che siamo insieme. Alla fine la qualità di un vescovo, al pari di un prete o di un laico che si sposa, non è data da queste formalità ma dalla sua vicinanza al vangelo».
Un invito, un augurio per queste settimane che ci dividono dal suo arrivo e poi per gli anni che avremo insieme?
«Coraggio, alziamoci! Gesù ci chiama».