Ecco il vero volto di sant'Antonio

Presentata in una conferenza nell'ambito del Giugno antoniano la ricostruzione in 3D del vero volto del Santo. Un lavoro lungo che ha coinvolto il Centro studi antoniani, il museo di antropologia dell'università di Padova, l'Arc-team Archaeology di Cles (Trentino), il Centro di tecnologia dell'informazione Renato Archer di Campinas nello stato di San Paolo in Brasile e il laboratorio di antropologia e odontologia forense dell'università di San Paolo. Il risultato sconvolge perché spoglia il volto del Santo delle molte sovrastrutture culturali che si sono create lungo i secoli.  

Ecco il vero volto di sant'Antonio

«Commozione» è la parola che più di tutte ritorna ascoltando le prime impressioni di chi ha voluto, atteso e lavorato perché il progetto, un’idea impossibile anche solo pochi anni fa, diventasse realtà. Di fronte alla ricostruzione in 3D del volto di sant’Antonio, presentata in un convegno organizzato per l’occasione ieri sera al centro San Gaetano di Padova, «commosso» si è detto padre Enzo Pojana, rettore della basilica dedicata al santo di origine portoghese, «commosso» si è detto anche padre Luciano Bertazzo, direttore del Centro studi antoniani, uno degli attori principali di questa impresa.

«La differenza con quanto era stato precedentemente proposto – spiega lo stesso padre Bertazzo – sta nella vigoria e nella forza riscontrabile in quel volto ... “finestra” di una vita intensa e appassionata per il Regno!». Sì perché questa non è la prima operazione di questo tipo a essere tentata, nel 1995 anche l’artista Roberto Cremesini aveva proposto la sua ricostruzione. Ciò che distingue quel tentativo da questo però lo spiegano gli stessi protagonisti dell’impresa: «Anzitutto le moderne tecniche di ricostruzione facciale – riflette Nicola Carrara, conservatore presso il museo di antropologia dell’università di Padova – che si appoggiano a database forensi aggiornati che forniscono molte informazioni circa i visi, particolarmente legate agli spessori muscolari che, assieme alle ossa craniali, vanno a costituire l’impalcatura di un volto e quindi le sue fattezze». In secondo luogo, un valore aggiunto particolarmente curioso e riguarda Cicero Moraes, designer 3D brasiliano conosciuto per le sue ricostruzioni facciali in ambito archeologico, collaboratore del Centro di tecnologia dell’informazione Renato Archer di Campinas (San Paolo) e del Laboratorio di antropologia e odontologia forense della facoltà de odontologia dell’università di San Paolo. Ebbene, «Moraes – riprende Carrara – ha lavorato “alla cieca”, non conoscendo l’identità del soggetto. A lui sono state fornite solo indicazioni circa il sesso, l’età di morte e il tipo etnico. Moraes ha quindi lavorato senza preconcetti».

La tecnica usata per la ricostruzione la spiega lo stesso Moraes: «La ricostruzione facciale forense è una tecnica per agevolare l’identificazione delle persone. Essa ricostruisce scientificamente i tratti del viso per permettere l’identificazione da parte degli analisti forensi. Nel mio caso, preferisco usare la definizione di «ricostruzione facciale digitale», perché il mio obiettivo sono le ricostruzioni archeologiche e queste non sono collegate a quelle fatte dagli investigatori forensi, anche se la tecnica è analoga. Sostanzialmente noi riceviamo un cranio in 3D e lo confrontiamo con dati statistici e anatomici, cosa che ci permette di ricostruire la faccia di un individuo». 

Il cranio in 3D è stato preparato dal gruppo di lavoro di Luca Bezzi di Arc team che ha sede a Cles, in Trentino, attraverso una tecnologia nota con il nome di Sfm e Ibm, cioè structure from motion e image-based modeling, che permette di ottenere modelli digitali in tre dimensioni partendo da una collezione di foto. Il lavoro non si è basato sui reperti originali, ma sul calco prodotto durante la ricognizione del 1981. «Questo ha semplificato il nostro compito – assicura Bezzi – in quanto le ossa necessarie alla ricostruzione facciale forense, nel caso di sant’Antonio, non sono più in connessione anatomica, se non sbaglio, sin dal lontano 1263, quando avvenne la traslazione della tomba del Santo nella basilica e si conservarono alcune reliquie, tra cui il mento (la mandibola appunto), che circa 90 anni dopo (nel 1350) sarebbe stata ricollocata nella teca che la contiene ancora oggi. La ricognizione della tomba del Santo del 1981 ha permesso di creare un calco completo del cranio e della mandibola, in cui è stata ricomposta la connessione anatomica non più osservabile sugli originali, conservati nei secoli in due sedi diverse (la tomba per il cranio, il reliquiario per la mandibola). La precisione e il dettaglio registrati nel calco del 1981 erano, d'altra parte, più che sufficienti ai fini della ricostruzione facciale forense, quindi, nel complesso, il fatto di operare sul calco è stato positivo, in quanto ha semplificato di molto il recupero dei dati necessari.

Emozionante il racconto dell’“ignaro” Moraes, che ha lavorato spinto dalla curiosità di chi fosse il volto a cui stava lavorando. «Durante la ricostruzione io ero davvero molto curioso. Mi chiedevo se si trattasse di un cavaliere, di un filosofo, di un pittore, di un dottore o di un contadino. E chi poteva dirlo? L’incertezza alimentava la mia curiosità. Ciò mi ha spinto ad accelerare il lavoro e spedire al più presto i risultati al committente, per scoprire di chi era quel cranio misterioso e ben strutturato. Dopo aver analizzato la ricostruzione, l’archeologo Luca Bezzi mi chiese se volevo sapere l’identità della persona ricostruita. Gli risposi di sì, prima ancora che finisse la frase. Mi spedì un link a Wikipedia in lingua portoghese. Apparve il nome “Sant’Antonio di Lisbona”. Lo ringraziai per l’onore e continuai a lavorare per altre ricostruzioni; confesso in verità che ancora non avevo capito di chi si trattasse. Il problema era che non avevo letto il post di Bezzi interamente. Quando, assalito dalla curiosità, lo riaprii, andai sulla pagina in italiano di Wikipedia. A quel punto il nome cambiò in “Sant’Antonio di Padova”. Allora non si trattava di un portoghese. Rimisi la versione in portoghese e a quel punto lessi tutto il contenuto. Solo quando raggiunsi la parte in cui si parlava del lato più folcloristico della devozione, mi accorsi che in Brasile il Santo è famoso perché fa trovare il proprio sposo/ sposa. Solo in quel momento mi resi conto di chi era colui che avevo ricostruito. Sant’Antonio è il patrono della città in cui vivo (Sinop-MT, Brazil) ed è il nome dell’ospedale in cui sono nato a Chapecó (Brazil). È anche il nome di mio nonno (Antônio Pagliari) e del creatore di Blender (il software che ho usato per ricostruire il volto del Santo), che si chiama appunto Ton (Anthony) Roosendaal, proprio in onore del Santo. Ero davvero impressionato, realizzando che ovunque mi girassi c’era qualcosa di lui… è stato un enorme onore e anche un grande spavento!». 

Ecco dunque un sant’Antonio restituito, come conclude Nicola Carrara raccontando le sue impressioni. «Finalmente un volto di un portoghese, ho pensato dapprima, e subito dopo: finalmente un volto di un trentaseienne. Personaggi come sant’Antonio diventano, per la loro importanza, icone. E più di tutto è il viso a essere coinvolto in questo processo. Il “nuovo” viso sconvolge l’immagine classica del Santo, spogliandola di tutte quelle sovrastrutture culturali e religiose che naturalmente tendiamo ad apporvi. Questa ricostruzione pulisce il viso da quello che noi vogliamo vedere e mostra quello che realmente era con un elevato grado di attendibilità».

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