Terzo settore riunito a Rovigo: «Prima gli ultimi»
A Rovigo, gli stati generali del Terzo settore: un confronto a più voci sulla legge, ma anche sulle molte questioni aperte in un ambito ancora “ricco” e in evoluzione. Il tema aperto del ruolo dei Centri servizi e la questione delle fonti di finaziamento. Le insidie e le tentazioni dell’apertura al profit. Un fenomeno complesso e dai mille volti. I rapporti con la pubblica amministrazione e le indebite supplenze. L’esigenza urgente di maggiore trasparenza. “Prima di tutto gli ultimi”
Alla fine più che del volontariato si è parlato della “gestione” di gruppi, associazioni, aggregazioni di vario genere; un panorama complesso (lo si è ripetuto fino alla sfinimento) che caratterizza la presenza di circa 4 milioni di cittadini italiani che dedicano gratuitamente il loro tempo libero all’insegna della solidarietà, degli altri, dell’impegno sociale.
Non poteva essere diversamente, dato che l’incontro di Rovigo (31 ottobre), era promosso dai Comitati di gestione e dai Centri servizi per il volontariato e aveva come oggetto di confronto la nuova legge delega di riforma del terzo settore (già approvata alla camera e ora al senato). Un tema delicato, forse intrinsecamente di ostico approccio per un mondo, quello appunto del volontariato, che per definizione, nonostante organizzazioni e strutture, è intimamente libero, all’insegna talora dello spontaneismo, più attento agli afflati del cuore che non alla sequela delle norme. Ma il governo ha deciso di mettere ordine alla materia e quindi, neppure chi privilegia il fare alle procedure, può esimersi dal confronto e dalla verifica.
Va detto subito che le iniziali reazioni agli intenti e ai testi di riforma proposti dall’esecutivo non sono state positive: il mondo del volontariato si è sentito un po’ trascurato, non preso adeguatamente in considerazione, vivendo la poco piacevole sensazione che qualcuno volesse decidere per i milioni di volontari ma senza di loro. Comunque le intenzioni del governo sono diventate prassi normativa e quindi anche il volontariato ha dovuto necessariamente farsene una ragione e prendere posizione. Quelle emerse a Rovigo hanno fatto riferimento prevalentemente a due soggetti forti: i Comitati di gestione dei fondi speciali per il volontariato (i soggetti che governano la “borsa”, dentro alla quale le risorse sono messe “in via esclusiva, dalle fondazioni di origine bancaria”) e i Centri servizi per il volontariato (7 nel Veneto, uno per provincia).
I Co.ge (al convegno era presente il presidente del coordinamento nazionale, Carlo Vimercati, assieme alla presidente del Veneto, Silvana Bortolami, e a quella del Trentino, Luisa Masera) devono soprattutto confrontarsi sulla bontà dell’utilizzo delle risorse, sul tema della trasparenza e dei controlli, sulla qualità delle elargizioni; un approccio per alcuni aspetti intriso di sfaccettature burocratiche. Diverso il discorso per i Centri servizi, rispetto ai quali la nuova normativa viene giudicata un po’ ambigua. Che fine faranno?
«Non si tratta – ha detto Stefano Tabò, presidente di CsvNet, l’organismo di coordinamento dei centri italiani – di conservare l’esistente che, anzi, deve essere opportunamente accompagnato ad evoluzione, valorizzando l’esperienza maturata per renderlo più consono alle esigenze e agli ambiziosi obiettivi. Qualora non si voglia stravolgere il profilo e la natura dei Csv, è indispensabile però assicurarsi che ne vengano tutelati i requisiti identitari. Occorre preliminarmente riconoscere nel volontariato il cuore valoriale e generativo della solidarietà che si intende promuovere».
«Un profilo dinamico ed innovativo, capace di cogliere la sfida degli anni futuri senza rinunciare all’applicazione del principio di sussidiarietà ma assicurando quella linfa di valori e di idealità di cui il volontariato risulta da sempre portatore. In particolare, l’auspicio è che i Csv continuino ad essere governati dalle Odv (oraganizzazioni di volontariato), che venga garantito un equo finanziamento dei centri in tutte le regioni, che sia assicurata uniformità regolamentare su tutto il territorio nazionale e, non ultimo, che venga riconosciuta la “promozione delle attività di volontariato” quale finalità specifica del nostro mandato».
Insomma, i Centri servizi devono rimanere espressione e strumento (solo) del volontariato. Questa la posizione di chi per mandato “governa” e sostiene il volontariato, che poi ha tutta una serie di altri problemi (come ha detto Pietro Barbieri, portavoce del Forum del terzo settore): dal rapporto con la pubblica ammnistrazione alla tentazione di supplire alle inefficienze statali soprattutto nel welfare, dalla necessaria trasparenza alla tentazione di cedere alle lusinghe di un profit, più o meno mascherato. Su questi nodi, il volontariato stesso (come hanno ribadito Emma Cavallaro ed Emilio Noaro, di Convol, conferenza permanente delle associazioni) pare avere le idee chiare: la visione di un welfare “universalistico”, un terzo settore tutto non profit, “prima di tutto gli ultimi”, la peculiarità del volontariato organizzato, e Csv a servizio esclusivamente del volontariato stesso. Idee talora diverse, ma soprattutto il riferimento a un modo, quello dei volontari, talmente vario che, si ha l’impressione, una legge farà fatica a “inquadrare”; a meno che non si riconoscano specificità e valori locali e le diversità che mai come in questo caso sono veramente ricchezza.