Senza fissa dimora, boom di richieste di ospitalità a Casa Elisabetta all'Arcella
Numeri insostenibili. Sono quelli con cui deve fare i conti l’associazione Elisabetta d’Ungheria nell’ospitalità alle persone senza dimora. Tra qualche mese la casa si trasferirà in una nuova sede, più ampia e adeguata, ma intanto quest’anno i posti non bastano a soddisfare tutte le domande.
Numeri insostenibili.
Sono quelli con cui deve fare i conti l’associazione Elisabetta d’Ungheria nell’ospitalità alle persone senza dimora. Casa Elisabetta, in zona San Carlo all’Arcella a Padova, dispone di quattordici letti per la prima accoglienza e tre per la seconda, questi ultimi riservati a quanti stanno compiendo un più specifico percorso di reinserimento sociale e lavorativo.
Tra qualche mese la casa si trasferirà in una nuova sede, più ampia e adeguata, ma intanto quest’anno i posti non bastano a soddisfare tutte le domande.
«Abbiamo aperto in ritardo, a dicembre invece che a ottobre, e siamo stati letteralmente sommersi dalle richieste – spiega Nicolò Targhetta, referente dell’associazione – Il boom è dovuto al fatto che l’amministrazione comunale ha stabilito di non accettare nelle strutture pubbliche i non residenti in città. Noi non abbiamo guardato a questo requisito ma, allo stesso tempo, abbiamo deciso di non snaturare il nostro stile, che è puntare più sulla qualità che sulla quantità».
Casa Elisabetta non vuole essere un semplice dormitorio, ma un ambiente in cui si respira un’aria familiare
«Ci interessa inserire la persona senza dimora in un percorso di recupero. Tutto è mirato a questo obiettivo, a partire dal fatto di lavorare, per quanto possibile, sempre con le stesse persone, e di rimanere aperti fino a metà maggio, cioè ben più a lungo della cosiddetta “emergenza freddo”».
Snodo dell’attività di casa Elisabetta è lo sportello del sabato
Si ascoltano i bisogni e le difficoltà degli ospiti e si dà loro un sostegno psicologico, una direzione verso il reinserimento lavorativo o il ricontatto con la famiglia. «Facciamo il punto della situazione di ciascuno, controlliamo che i curriculum siano ben redatti e i documenti in regola. Valutiamo le nuove richieste di accesso alla struttura, dove l’ospite rimarrà dal martedì al lunedì».
Ma chi sono gli inquilini di casa Elisabetta?
«Circa la metà sono italiani cinquantenni divorziati, un’altra buona metà nordafricani arrivati negli anni Ottanta e Novanta; una piccola minoranza sono cittadini dell’Est. Sono soprattutto persone rimaste senza lavoro ma anche, sempre più spesso, con alle spalle storie di dipendenza dal gioco d’azzardo. Per far fronte alle loro necessità, l’associazione Elisabetta d’Ungheria mette in campo sessanta volontari e fa affidamento sulla provvidenza, dato che si sostiene solo grazie alle donazioni».