Nidi, la "promessa mancata" di Renzi: ne assicurò mille in più, invece chiudono
“Era il 1 settembre 2014 quando Matteo Renzi annunciava ai media nazionali di voler aprire mille nidi in mille giorni. La nostra indagine a quell’affermazione aggiunge un punto di domanda, perché di quei mille nidi non vediamo traccia”. Parla Laura Branca, presidente dell’associazione Bologna Nidi che in un’indagine scatta la fotografia della situazione attuale dei nidi in Italia: “Basta esternalizzare: serve tornare al pubblico e abbassare le rette”.
L’associazione Bologna Nidi non ha dubbi: da quelle parole è passato più di un anno, ma i nidi invece che aprire continuano a chiudere, perdono iscritti e la qualità diminuisce.
Lo dimostra nell’omonima indagine (‘Mille nidi in mille giorni?’) condotta tra il 2014 e buona parte del 2015, che ha come fonti gli articoli e i post apparsi sui quotidiani nazionali e locali.
“Il nostro lavoro non ha pretese scientifiche. Ma per la prima volta abbiamo a disposizione uno studio che fotografa la salute dei servizi educativi oggi – commenta Laura Branca, presidente dell'associazione – Molti studi competenti si riferiscono a dati di 2 o 3 anni fa, ma tutto cambia troppo velocemente perché quei dati restituiscano la realtà di oggi. Va da sé che se non conosciamo la situazione attuale è difficile ipotizzare le risposte più appropriate”.
Quali sono le cause di questa situazione? Secondo la ricerca, la salute del sistema educativo alla prima infanzia è minata da fattori contrastanti.
“Da una parte assistiamo alla chiusura dei servizi, dall'altra a cambi gestionali, sempre dal pubblico verso il privato. Nel complesso ipotizziamo un abbassamento della qualità. Ma il dato più preoccupante è che per la prima volta dal 1971 in molte parti d’Italia la domanda degli utenti è in calo, anche in modo drastico”, continua Branca, supervisionata nello studio da Silvia Nicodemo dell’Università di Bologna e da Cristiano Gori della Cattolica di Milano.
Che spiega come all’annuncio del governo sia poi seguita anche una normativa affinché si incrementasse l’offerta: “Purtroppo, però, non si sono avute – almeno per ora – risposte adeguate”.
Le famiglie rinunciano
per la prima volta dal 1971 in molte parti d’Italia la domanda degli utenti è in calo, anche in modo drasticoFino al 2012, si legge nella ricerca, c’è stato un aumento delle rette: oggi si è assestato, e anzi alcuni comuni cercano di abbassare le tariffe.
“Ma l'aumento delle rette e la contrazione del lavoro, partita anch'essa nel 2007 – insieme con il calo delle nascite – hanno dato una notevolmente accelerata alla riduzione dei servizi. I genitori alla perdita del lavoro rispondono con il ritiro dei bimbi o non iscrivendoli più”.
Le scelte politiche. Il 2007 di Prodi.
Era il 2007 quando il governo del Professore avviò un piano economico di svariati milioni destinati a incentivare l’apertura dei nidi.
“Il piano diede i suoi frutti, i nidi aprirono: ma si crearono anche le premesse per le chiusure arrivate puntualmente qualche anno dopo. I nuovi servizi erano quasi esclusivamente a gestione indiretta, cioè gestiti da privati con una governance del pubblico”. A fronte a un discutibile risparmio economico, spiega lo studio, la strada della privatizzazione è stata imboccata di corsa senza pensare a un possibile traguardo o a tappe intermedie.
La Buona Scuola.
Tramite la Buona Scuola sono arrivati nuovi finanziamenti, “anche se ancora non è chiaro e quantificabile con precisione a quanto ammonterà l’investimento”.
Poi c’è la circolare del ministro per la pubblica amministrazione Marianna Madia che consente a nidi e scuole per l’infanzia l’assunzione di personale per il funzionamento dei servizi.
Ma le notizie, secondo Bologna Nidi, non sono solo positive: “Continua l'esternalizzazione dei servizi a titolarità pubblica verso la gestione privata, senza una vera motivazione razionale: i servizi gestiti dal privato non hanno dimostrato dal 2007 a oggi di essere realmente più convenienti o di maggiore qualità. Il privato il più delle volte ha costi inferiori per risparmi effettuati sul personale, grazie a contratti peggiorativi e meno tutele. Manca uno strumento per misurare la qualità del servizio a livello nazionale e che possa garantire degli standard”.
Le risposte della politica.
Rispondere alla contrazione ipotizzando orari prolungati (a scapito, però, della serenità del bambino) e favorendo l’esternalizzazione, secondo Bologna Nidi non è la soluzione migliore: “Le politiche nazionali che incentivano i servizi educativi, non corrispondono alle politiche locali che invece contraggono l'offerta e abbassano la qualità. E spesso questo succede anche quando la giunta comunale è appartenente alla stessa coalizione del governo, mettendo in evidenza una difficoltà anche di pensiero politico e non solo difficoltà dettate da facili questioni economiche”.
I suggerimenti di Bologna Nidi.
In primis, serve abbassare le rette: “Crediamo che si debbano adeguare i criteri d'accesso al servizio. Oggi in molti comuni per accedere si chiede se entrambi i genitori lavorano: forse si dovrebbe favorire chi il lavoro l'ha perso o è in cerca di un impiego”.
In secondo luogo, l’associazione chiede al governo di fissare una soglia della gestione diretta in percentuale all’offerta totale: “Il mantenimento della gestione pubblica è fondamentale per mantenere la qualità e per garantire un traino di possibili benefici per i lavoratori del privato. Le condizioni contrattuali sono tra le prime condizioni necessarie per garantire un servizio di qualità”.