Clemantine Wamariya, dal Ruanda del genocidio all’incontro con Obama
Ventinove anni e una vita straordinaria. Clemantine, nei giorni scorsi a Padova, ha lasciato anche nella città del Santo un segno indelebile ai piccoli studenti che ha incontrato. dopo la fuga dal genocidio, l'approdo a Chicago, la vittoria al concorso indetto da Oprah Winfrey e la laurea a Yale. Nel 2011 Obama la nomina nel board del museo dell'Olocausto a Washington. «Il mio scopo nella vita è ricordare alle persone che ci sono altri che stanno lottando per esistere in spazi di guerra e povertà. Voglio prendere lo stereotipo di quello che è un rifugiato o un sopravvissuto di guerra e dire: “Io sono io”».
Sorride anche con gli occhi. Parla soprattutto con il cuore. E trasmette la magia della fiducia. Clemantine Wamariya, 29 anni, incarna una vita straordinaria.
È nata a Kigali (Ruanda) e quando ha appena sei anni, insieme alla sorella maggiore Claire, deve scappare dal genocidio. “Crescono” insieme nei campi profughi di nove paesi africani, finché nel 2000 approdano a Chicago grazie all’Organizzazione internazionale per la migrazione (Oim). Clemantine studia, lavora, finalmente vive.
Partecipa (e vince) al concorso indetto da Oprah Winfrey. E nel 2006 durante lo show televisivo della premiazione, dopo 12 anni, può riabbracciare i genitori con i fratelli più piccoli. Nel 2011 il presidente Obama la nomina nel Board del Museo dell’olocausto di Washington. E tre anni dopo si laurea a Yale in letterature comparate.
Clemantine ha da poco fatto tappa a Padova durante il suo “tour” attraverso l’Italia. Fra una lezione all’università e un incontro al femminile, per un paio d’ore ha voluto incontrare i piccoli studenti melting pot della scuola primaria Giovanni XXIII alla Stanga. Ne è scaturita un’esperienza inimitabile, perché con naturalezza il dialogo diretto e variopinto ha toccato le corde dello storytelling planetario.
Clemantine ha raccontato la favola della ragazzina in miniatura che quando sorride fa cadere dal cielo gioielli invisibili: «Incontra un ragazzo, che le sembrava enorme. Tutti e due urlano di paura. Ma poi scoprono che hanno occhi, bocca, piedi, corpo… tutto uguale. Così si sorridono».
Poi ha risposto alle domande sulla sua vita straordinaria:
«Ho camminato per giorni interi con mia sorella. Ho viaggiato in barca per sei ore lungo il lago Tanganyika prima di arrivare in Tanzania. Cercavamo la pace e, anche se non volevamo crederci, siamo diventate profughe e incontrato a volte gente cattiva mentre attraversavamo l’Africa con i treni cargo, l’autostop o a bordo di camion. Ora vivo negli Usa e viaggio nel mondo per insegnare che bisogna essere gentili: sorridere a chi sembra diverso, ma è una persona come noi».
Clemantine rappresenta l’happy end nella quotidiana odissea della migrazione, troppo spesso tragica. Avrebbe potuto essere una delle migliaia di morti nell’olocausto ruandese. Così oggi ammonisce:
«Non sono una vittima, ma una sopravvissuta alla fame, all’odio, alle diverse ingiustizie che gli esseri umani continuano a dover affrontare».
Insiste sul ruolo delle donne, proprio a partire dalla sua infanzia nei campi profughi: «Hanno una grande influenza, un impatto più solido, una predisposizione naturale. Le donne sono quelle che aiutano di più i migranti nel momento del bisogno, ma sanno svolgere anche il ruolo di mediazione linguistica e culturale nell’accoglienza. Sono spesso insegnanti, le prime che bambini e ragazzi migranti conoscono al loro arrivo. E poi ci sono le mamme africane, davvero eccezionali nel prendersi cura delle persone: nei campi diventano l’esempio da seguire per sopravvivere».
Clemantine evita accuratamente la politica, le polemiche, le trappole.
Tuttavia non può tacere un aspetto eclatante:
«L’Europa deve capire fino in fondo qual è stato il suo impatto nella storia dell’Africa durante il colonialismo: l’esodo attuale viene prodotto da ciò che è successo allora. Il mio Ruanda è un paese bellissimo, ma dove continua ancora la guerra per il potere…».
Una vita straordinaria, riassunta da episodi: come la notte in cui, già lontane da casa, le due sorelle devono strisciare in un campo di patate dolci prima di poter ricominciare a camminare, di nuovo senza certezze.
Oppure sulle sponde del fiume Akanyaru, verso il Burundi: cadaveri galleggianti che per una bambina sono solo persone capaci di addormentarsi in acqua.
In Sud Africa, Claire sbarca il lunario in un parcheggio prima di rientrare nella misera camera, ma 5 dollari diventano il più prezioso dei tesori. «Sono veramente grata per le mie esperienze molto difficili e dure. Sono grata di esser cresciuta nei campi profughi, senza tetto e orfana. Ma soprattutto, sono grata a mia sorella per la sua forza e capacità di rendere la vita bella anche quando non lo è stata. Le mie esperienze mi fanno chi sono: mi hanno dato storie per rafforzare gli altri».
Clemantine Wamariya, a dispetto dell’età, lascia anche a Padova una traccia indelebile, nonostante l’eco del suo passaggio abbia fatto meno notizia di quanto avrebbe meritato.
Sorride ancora, magicamente. E di cuore regala a tutti la sua personale visione del mondo:
«Il mio scopo nella vita è ricordare alle persone che ci sono altri che stanno lottando per esistere in spazi di guerra e povertà. Vorrei fare qualcosa per far capire e far vedere la gente. Voglio prendere lo stereotipo di quello che è un rifugiato o un sopravvissuto di guerra e dire: “Io sono io”. Credo che la mia missione sia proprio portare la consapevolezza delle esperienze che ho vissuto. Ci sono tanti che non sopravvivono nelle medesime condizioni che ho provato per anni. Ma sono qui perché la mia vita è stata risparmiata e mi hanno dato tutte le opportunità. Sono soltanto una su un milione…».