Francesco e l'accoglienza dei migranti. Un papa irrazionale?
In un’intervista al Mattino di Napoli l’ex-presidente del Senato Marcello Pera accusa papa Francesco e lo fa senza mezzi termini. «Questo Papa – dice – non lo capisco, è fuori di ogni comprensione razionale. È evidente a tutti che un'accoglienza indiscriminata, senza limiti, non è possibile. Non ci sono motivazioni razionali e nemmeno evangeliche che spieghino quello che il papa dice sull'immigrazione». Un colpo di sole, o un'obiezione sensata?
Il papa, come si sa, interviene spesso sull’immigrazione e con accenti diversi ma quasi sempre accorati e preoccupati.
Ecco alcuni passaggi di un discorso rivolto tempo fa ai partecipanti a un Forum su migrazione e pace: «L’inizio di questo terzo millennio è fortemente caratterizzato da movimenti migratori che, in termini di origine, transito e destinazione, interessano praticamente ogni parte della terra… Purtroppo, in gran parte dei casi, si tratta di spostamenti forzati, causati da conflitti, disastri naturali, persecuzioni, cambiamenti climatici, violenze, povertà estrema e condizioni di vita indegne… I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi».
Di qui la preoccupazione del papa per la «natura forzosa di molti flussi migratori contemporanei, che aumenta le sfide poste alla comunità politica, alla società civile e alla chiesa». Di qui anche una strategia che egli propone a tutti per una «comune risposta» a tale fenomeno: «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare».
Il pensiero del papa in tema di immigrazione è relativamente facile da interpretare. Si può riassumere in una sola parola, accoglienza. Che però a detta di tutti pone più problemi di quanti ne risolva. Vale dunque la pena, per interpretarlo bene, non dimenticare che il punto di vista del papa è pastorale. I suoi interventi cioè non mirano a proporre soluzioni politiche e tanto meno tecniche. Mirano a esortare, incoraggiare, stimolare tutti, in particolare i cattolici, a portare il proprio contributo per affrontare e possibilmente risolvere il problema.
A tale scopo è bene tener presente una distinzione tra chi elabora progetti e chi esorta o stimola a metterli in pratica.
Chi elabora progetti si rivolge all’intelligenza e invita a riflettere, a confrontarsi, a discutere, a verificare se siano moralmente giusti oppure no e perché.
Viceversa chi esorta o stimola a tradurli in pratica non si rivolge all’intelligenza, bensì alla volontà, al cuore delle persone, e le invita ad agire, a passare dalle parole ai fatti.
Sapere cosa è giusto fare o evitare non si trasforma automaticamente in attuazione dei comportamenti corrispondenti.
Chi ha ricevuto un torto o è stato defraudato, maltrattato, sa che non è giusto ricambiare, vendicarsi. Ma quanto è difficile trattenersi, controllare l’impulso che si prova...
Analogamente chi è stato sfrattato o ha perso il posto di lavoro e vede schiere di migranti trovare alloggio o passeggiare per il paese senza far niente non può non provare rabbia, rancore, risentimento. E a volte non resiste alla tentazione di scendere in piazza a manifestare, protestare, gridare slogan, portare cartelli di sapore più o meno provocatorio, offensivo.
A persone così non servono argomenti, ragionamenti, ma esortazioni, stimoli, a controllarsi, a non assumere atteggiamenti incivili, razzisti. Che poi nel fare questo si usi una parola o si faccia un lungo discorso non è rilevante. Come non è rilevante mettere sotto i loro occhi lunghi elenchi di dati o analisi. Tanto meno descrivere presupposti o conseguenze di un’azione, di un comportamento. Qualsiasi parola si dica e qualsiasi discorso si faccia lo scopo è aiutare queste persone a fare o evitare ciò sanno già di dover fare o evitare.
Tecnicamente questo tipo di discorso viene definito “parenesi”, esortazione, e si distingue da un altro tipo di discorso, denominato “etica normativa”, che risponde alla domanda: cosa è giusto fare o evitare?
Fare etica normativa significa sfruttare tutte le capacità intellettivo-razionali per raggiungere la conoscenza di quelle azioni o comportamenti che servono a raggiungere uno scopo, un fine, realizzare un bene, un valore.
Raggiunta tale conoscenza, il problema diventa quello di volere mettere in atto quelle azioni o comportamenti che sono stati riconosciuti più necessari e adeguati per raggiungere lo scopo, il fine, realizzare quel bene, quel valore.
Non è difficile a questo punto sciogliere l’equivoco in cui cade l’ex-presidente del Senato Marcello Pera quando dice: «Questo papa non lo capisco. È fuori di ogni comprensione razionale». È evidente infatti che confonde due tipi di discorso. Accusando il papa di essere fuori di ogni «comprensione razionale» dimentica che le parole del papa non hanno questa finalità, bensì hanno una finalità parenetica, esortativa, non teorica, razionale.
In questo senso l’esimio intellettuale ha senz’altro torto. Ha invece ragione per altri aspetti che egli forse non coglie o non esplicita.
In effetti un discorso parenetico, esortativo, che sia fatto dal papa o da altri, in tanto raggiunge lo scopo in quanto poggia su una comprensione razionale del problema e vi è consenso sulle misure da prendere per risolverlo.
In mancanza di ciò il rischio di muoversi in una direzione sbagliata è alto. E allora più si esorta, si stimola, peggio è.