Il Veneto non è finito, ma deve cambiare. In fretta
Secondo Paolo Feltrin, autore di una ricerca commissionata dalla Cisl, non è affatto vero che il Veneto dei miracoli sia finito; la crisi, anche qui, è stata micidiale, ma tutto sommato il sistema ha tenuto; che non vuol dire però che questo sarà sufficiente per garantire il futuro. Anzi, l’errore potrebbe essere proprio quello di pensare che, in fondo, una volta passata la lunga bufera, tutto tornerà come prima.
Storicamente non è di certo una comparazione semplice, almeno dal punto di vista dell’omogenità dei dati confrontabili e del vissuto socio-economico delle due realtà; però, siccome alla fine la Cisl ha scelto di mettere insieme Padova e Rovigo, non ci sono molte alternative. Così la ricerca del gruppo di lavoro, voluto dal sindaco e guidato da Paolo Feltrin, cerca di coniugare situazioni e prospettive della città del Santo e del Polesine. Il quadro che ne emerge è abbastanza vario.
Padova, ad esempio, ha alcune peculiarità che talora sfiorano l’eccellenza, soprattutto se in comparazione con le altre aree regionali.
Il Padovano, infatti, è al primo posto in Veneto per residenti, con una crescita della popolazione favorita dalla localizzazione nell’area metropolitana; per quanto riguarda la struttura produttiva, sempre la città del Santo è al vertice per addetti e imprese e, nonostante la vocazione terziaria, presenta un’eccellenza nella metalmeccanica (primo posto per addetti), a cui si aggiunge una specializzazione nei servizi innovativi alle imprese e nel commercio all’ingrosso, che la porta al primato per valore aggiunto, con forte vocazione terziaria; tutto questo ha come conseguenza una penalizzazione minore rispetto alla crisi.
Ciò non ha certo messo al riparo dalle durezze di questi anni bui, soprattutto sul versante del lavoro che ha registrato una forte impennata della disoccupazione, soprattutto giovanile. Restano tuttavia le opportunità, legate soprattutto al polo innovativo, all’eccellenza metalmeccanica, al turismo, all’università.
Diverso il discorso per Rovigo, che in questi anni ha subito un progressivo spopolamento, attenuato dall’immigrazione, ma reso più grave dall’elevato indice di vecchiaia.
Nel sistema produttivo polesano, bene i settori legati alla filiera del mare (ittico, industria alimentare, commercio), ma scarsa propensione all’export. In calo occupazione e forte crescita dei senza lavoro, soprattutto giovani e donne. Le opportunità polesane, insomma, paiono essere soprattutto nella filiera del mare, che traina l’economia, e magari nella valorizzazione del patrimonio naturale del Delta del Po ai fini turistici (ancora tutto da esplorare).
Questo il quadro d’insieme di due mondi, quello padovano e il polesano, che sono certamente diversi, ma che pagano comunque il prezzo di incertezze e difficoltà più ampiamente regionali.
In ogni caso, secondo Paolo Feltrin, non è affatto vero che il Veneto dei miracoli sia finito.
La crisi, anche qui, è stata micidiale, ma tutto sommato il sistema ha tenuto; che non vuol dire però che questo sarà sufficiente per garantire il futuro. Anzi, l’errore potrebbe essere proprio quello di pensare che, in fondo, una volta passata la lunga bufera, tutto tornerà come prima.
La ricerca voluta dalla Cisl su questo è inesorabile: c’è andata bene, ma occorre cambiare.
Così ne escono sette punti, stringenti, che determineranno la qualità (e le opportunità) per il Veneto di continuare a crescere e mantenere un ruolo di “locomotiva” nel sistema paese (e non solo).
L’elenco dei temi da affrontare non lascia scampo a facilonerie.
Si parte dal problema del credito: le recenti vicende di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, secondo Feltrin, non concedono alibi ai veneti: i guai non sono riconducibili a “Roma ladrona” ma alle insipienze di casa; allora ripensare al credito con attenzione illuminata è un dovere al quale non si può sfuggire.
Così come, se è vero che l’export è stato per molti aspetti l’ancora di salvezza dell’economia, è altrettanto assodato che non esiste un sistema locale per guardare ai mercati stranieri: troppi particolarismi, individualismi, poco coordinamento.
Sull’estero quindi bisogna orientare tutto l’impegno, a partire dalla formazione dei giovani. Ma soprattutto il tema della capacità delle aziende di casa di guardare oltre confine si scontra in maniera radicale con la struttura produttiva locale (anche di Padova e Rovigo): la dimensione delle imprese. Troppo piccole, impensabile che una ditta di cinque addetti (circa il 90 per cento di quelle presenti sul territorio) e qualche centinaio di migliaia di euro di fatturato possa guardare all’estero.
Quello della dimensione aziendale è salito all’attenzione come uno dei punti nodali per il futuro.
Un nodo difficile da sciogliere perché va a incidere sui fondamenti (anche antropologici) di un modello di sviluppo che dura da decenni.
La questione dell’export rimanda anche a un altro problema non proprio di semplice approccio: il collegamento tra industria (soprattuto manifatturiera) e terziario, tra chi produce e chi è chiamato a vendere.
Infine vi è un argomento più strettamente politico, che riguarda le infrastrutture, la capacità del Veneto di dotarsi di quegli strumenti, dalle strade all’alta velocità, fino alla banda larga, indispensabili per avviare e sostenere un’innovativa stagione di sviluppo.
Su questo un ruolo decisivo dovrebbe giocarlo la regione, ma per il momento il ritornello che palazzo Balbi (anche attraverso la presenza dell’assessore Roberto Ciambetti) preferisce cantare sembra essere quello di scaricare colpe e responsabilità sul governo nazionale. Pochino.
Da dove partire e a cosa mettere mano, insomma, secondo lo studio della Cisl è abbastanza chiaro: le priorità sono individuate, le urgenze messe in agenda; resta un punto (cruciale): chi farà tutto questo?
Su tale questione, Paolo Feltrin non ha dubbi: il futuro regionale si giocherà tutto su quanto questa terra saprà esprimere in tema di classe dirigente, di uomini e donne, imprenditori, ricercatori, docenti, politici, che avranno la capacità di guidare processi e cambiamenti.
In Veneto c’è questo patrimonio umano, culturale? La domanda è rimasta sospesa: la Cisl da parte sua si candida a essere parte attiva di tale “governo” futuro, gli industriali, per voce del presidente padovano Massimo Finco, hanno detto che parlarsi è sempre utile. Basterà?