Padova oggi e nel Catasto napoleonico, paragone impressionante
Il volume che la Banca di credito cooperativo di Piove di Sacco ha pubblicato, come ogni anno, alla fine del 2015, si concentra su un impressionante paragone messo in atto da un saggio di Claudio Grandis e dalle foto di Matteo Danesin. Risulta evidente lo spaventoso consumo di suolo, ma anche il mutamento del volto di Padova con le soppressioni degli ordini religiosi volute da Napoleone che mieterono diverse vittime illustri, tra cui la basilica domenicana di Sant'Agostino in riviera Paleocapa.
Dopo il positivo “assaggio” dell’anno scorso, dedicato al territorio della Saccisica, in cui sono stati rivisitati i paesi, i luoghi, gli spazi rappresentati nel Catasto napoleonico dei primi dell’Ottocento mettendoli a confronto con ciò che si vede oggi, volando e fotografando dall’alto il territorio, «ora – spiega Leonardo Toson presidente della Banca di credito cooperativo di Piove di Sacco – nel nostro ormai tradizionale libro che, da quasi un ventennio, regaliamo alle comunità del Piovese, di Chioggia e del Padovano, ripetiamo la stessa operazione concentrando lo sguardo della memoria e del presente su Padova».
Quindi il volume Padova disegnata. Città e borghi nel Catasto napoleonico del 1810 e nelle immagini di oggi (Peruzzo editore, pp 190) ricalca quanto già sperimentato nel Sudest padovano: le foto delle mappe in scala 1:2000 realizzate prima dai geometri napoleonici tra il 1809 e il 1811 e poi rielaborate dall’autorità austriaca per portarne a compimento l’obiettivo censuario, sono confrontate passo passo con le immagini aeree del territorio attuale, scattate da Matteo Danesin.
Anche solo visivamente il confronto, a distanza di due secoli, appare interessante, e conferma, tra l’altro, un consumo del suolo impressionante, ma la presentazione delle immagini fornisce anche l’occasione per affidare allo storico Claudio Grandis, da sempre attento alle evoluzioni antropiche e idrografiche del territorio padovano, una disanima complessiva dell’ambiente padovano nei primi anni dell’Ottocento.
Un ambiente che comprende il centro cittadino, all’interno del sistema bastionato, e i sei “comuni censuari” definiti seguendo gli invasi idrici o proprietà immobiliari: Altichiero e Torre, Ponte di Brenta con Noventa, Camino e uniti, Salboro con Pozzoveggiano e Volta del Barozzo, Brusegana con Volta di Brusegana e Mandria, Montà con Chiesa Nuova e Piovego.
La carta catastale urbana, rileva Grandis, mostra la città nella fase estrema del suo impianto costruttivo prima delle radicali mutazioni che seguirono la soppressione degli ordini religiosi e che causarono molte illustri vittime tra cui spicca quella della chiesa domenicana di Sant’Agostino lungo riviera Paleocapa. Allora la popolazione cittadina contava poco meno di 35 mila abitanti e accanto a nobili e illustri dimore patrizie si stipavano quartieri popolari e anche agglomerati produttivi come quello di Pontemolino. Ma dentro le mura c’erano anche ampie fasce colturali non edificate che costituivano il patrimonio immobiliare di tanti monasteri.
«L’immobilismo settecentesco – scrive l’autore – riverberava tutti i suoi limiti all’alba del 19° secolo». Aprendo lo sguardo al di fuori dei bastioni compare il “guasto”, l’ampia fascia di “rispetto” militare all’interno della quale non era possibile costruire edifici che potessero offrire riparo al nemico contro i cannoni cittadini. Non mancavano però le eccezioni, come il Bassanello o le case fuori di porta Codalunga.
Il saggio passa quindi in esame l’idrografia della città, tra acque, canali e fossati campestri, i ponti del suburbio, la viabilità, le 15 parrocchie esistenti entro i “termini” cittadini. Uno specifico capitolo è dedicato all’idrografia della città presentata nella “Relazione del pubblico matematico Antonio Gioseffo Rossi”, datata 1766, che documenta «l’abbandono, l’insipienza e l’inettitudine dei governanti» dell’ultimo secolo della Serenissima, che «avevano finito con l’aumentare ulteriormente l’insicurezza idraulica della città».
Seguono i sette capitoli dedicati alle diverse mappe catastali, con la classificazione dei vari tipi di terreno e di coltura praticata, dall’aratorio al giardino, ampiamente illustrate dalle riproduzioni delle carte originali e dalle immagini attuali. Impossibile dare conto di tutte le osservazioni interessanti. Un solo esempio: nella zona nord per gli “aratori arborati vitati” si annota che generalmente alla vite si maritano alberi di noce, la cui vita qualche volta oltrepassa il secolo. Ma le viti, avvisa la relazione, dopo i 60-70 anni danno pochissimo frutto. L’uva che si coltivava è di due qualità, la “pattaresca” che matura prima ma di qualità inferiore, e quella più tardiva ma migliore.