Praglia, tre monaci diventano sacerdoti
Sabato 4 febbraio, nel pomeriggio, il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, presiederà il rito di ordinazione all'interno della basilica abbaziale. È un rito che a Praglia non si ripeteva dal 2009. Diventeranno sacerdoti don Guglielmo Scannerini, don Cristiano Ballan e don Luigi Albertini. L’abate Norberto Villa: «La chiamata di un monaco al sacerdozio è una specificazione ulteriore. Dipende dai bisogni della comunità e dal discernimento dell’abate»
Un grande giorno, e non solo per la comunità benedettina che da quasi mille anni abita a Praglia, alle pendici dei colli Euganei, ma per tutta la chiesa di Padova. Sabato 4 febbraio, infatti, alle 16, nella basilica abbaziale tre monaci vengono ordinati presbiteri per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria del vescovo di Padova mons. Claudio Cipolla.
A diventare sacerdoti sono don Guglielmo Scannerini, 51enne originario di Torino, baccellierato di studi teologici, frequenza all’università di Torino (lettere classiche) e da monaco licenza in patristica a Roma; don Cristiano Ballan, 47enne di Villa del Conte, diplomato in ragioneria ed ex-magazziniere, ha terminato gli studi teologici in monastero; infine il veronese don Luigi Albertini, 46 anni, già ingegnere civile idraulico che, dopo gli studi teologici in monastero, ha conseguito la licenza in sacra scrittura al “Biblico”.
I tre monaci sono già stati ordinati diaconi da mons. Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto. Era dal 21 marzo 2009 che la comunità dei monaci benedettini di Praglia non viveva un’ordinazione presbiterale, da quando il vescovo Antonio Mattiazzo consacrò sacerdote don Stefano Visintin, attualmente in servizio a Roma.
«Come si vede – osserva l’abate don Norberto Villa – la vita benedettina attira ancora persone con percorsi diversi e, a Praglia, anche al di là dei confini della diocesi». Vocazioni già esistenti, che camminano solidamente da anni, che ora si incamminano verso il passo successivo: «La chiamata di un monaco al sacerdozio è una specificazione ulteriore che dipende dai bisogni della comunità e dal discernimento dell’abate».
E così, l’ordinazione del 4 febbraio, offre la possibilità di guardare con amore a questa istituzione millenaria: «Praglia – conferma don Norberto Villa – è anzitutto un luogo di preghiera, e offre ospitalità a persone che vengono anche da lontano, non solo dalla diocesi, per momenti di ritiro e riflessione». Il legame con la chiesa locale è sempre forte: «L’abbazia si inserisce più direttamente nel territorio anche attraverso il lavoro dei monaci, la valorizzazione del patrimonio culturale costituito dal monastero e con la limitata attività pastorale di alcuni monaci».
Oltre al monastero, infatti, la comunità benedettina regge anche la parrocchia: «L’impegno diretto dei monaci nella cura parrocchiale a Praglia è relativamente recente, conseguenza delle soppressioni risorgimentali. Il monastero è inserito nel tessuto della chiesa diocesana soprattutto attraverso la sua specifica fisionomia, con la condivisione nella preghiera e con tante attività. Dalla sua fondazione, nonostante non vi sia una dipendenza diretta dalla diocesi, questa comunione è segnata, almeno normalmente, dal fatto che è il vescovo diocesano a presiedere celebrazioni come il conferimento degli ordini e la benedizione dell’abate».
«La nostra vocazione fondamentale è quella alla vita monastica – spiega don Guglielmo Scannerini – che per noi è maturata, come oggi avviene abbastanza comunemente, tra i 24 e i 30 anni. La chiamata al sacerdozio può arrivare anche molto dopo, e comunque sempre nel quadro della scelta originaria con le sue normali esigenze».
«Nella vocazione benedettina – continua don Cristiano Ballan – abbiamo trovato un modello di vita religiosa stabile, con una saggia alternanza di preghiera, lavoro e momenti comuni».
Ma cosa colpisce di più, ancora oggi, del carisma di san Benedetto? «Ciò che oggi sembra più necessario per tutti – osserva don Luigi Albertini – è un valore che è al centro della vita e della Regola: il primato di Dio, vissuto concretamente nella pratica dell’umiltà, e in quest’ottica dare il giusto peso agli altri valori e aspetti della vita».
Ma come si scandisce l’attesa di un giorno così importante? La risposta è semplice ma sostanziosa: «Ci prepariamo con la preghiera, la fiducia nel Signore, un po’ di “santo timore di Dio” e, come ha scritto papa Benedetto, anche con un pizzico di sana autoironia». Non resta che affidarsi: «Il nostro futuro, per fortuna, è nelle mani di Dio. E la prima cosa che chiediamo è di restare fedeli a questo dono che ci viene dato».
Altri tre monaci della famiglia di san Benedetto chiamati al presbiterato, eredi di una tradizione millenaria che non è solo un retaggio storico, ma un tesoro vivo e attuale da portare al mondo di oggi: «Ciò che non si custodisce – richiama l’abate Norberto Villa – non si può neanche donare; d’altra parte il senso della responsabilità di dover trasmettere qualcosa è uno sprone a mantenere viva un’eredità». Che dono saranno don Guglielmo, don Cristiano e don Luigi per la chiesa? «E fructibus eorum cognoscetis eos (Li riconoscerete dai loro frutti, ndr). Bisogna pregare per loro».