L’ecumenismo apre al mondo. Torna la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
Il 18 gennaio prende avvio la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, le cui riflessioni quest'anno sono a cura della delegazione caraibica che nella scelta del tema non ha dimenticato il proprio passato di oppressione, schiavitù, privazione della dignità umana donata da Dio. Proprio per questo il filo conduttore della settimana è il versetto «Potente è la tua mano, Signore», tratto dal capitolo 15 del libro dell'Esodo. Ne parliamo con don Giovanni Brusegan.
«Questo versetto, “Potente è la tua mano, Signore”, celebrava la gioia degli ebrei liberati dalla schiavitù faraonica e nella mano di Dio trovavano la forza della libertà. Nasce in un contesto di schiavitù, negazione della dignità della persona e dell'identità ed è accolta quale grido dal Signore che fedele alla sua creazione dell'uomo e della donna a sua immagine e somiglianza, si impegna perché il suo amore potente sia vincente su ogni schiavitù e sottomissione».
Così spiega don Giovanni Brusegan, delegato vescovile per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso, il tema scelto quest'anno per la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che si svolge dal 18 al 25 gennaio e che ha il suo fulcro, nella nostra diocesi, nel santuario di San Leopoldo dove ogni giorno, alle 18.30, viene celebrata l'eucaristia. Il tema è un invito a riflettere sullo sfruttamento di una parte dell'umanità trova origine nel capitolo 15, versetto 6, del libro dell'Esodo.
Il Canto intonato da Mosè e Miriam, profetessa e sorella di Aronne, ha un significato particolare per la popolazione caraibica la cui delegazione ha curato la settimana di preghiera:
«Recuperando la valenza iniziale del versetto – continua don Brusegan – e collocandola all'interno delle chiese che la propongono, possiamo avere una visione diversa del nostro essere cristiani nel mondo. L'ecumenismo ci allena a una visione più ampia, ci suggerisce una passione dell'umanità vista non solo nel nostro contesto post-moderno, ma in una varietà di vita e di stili in cui siamo chiamati ad una fede in chiave sinergica. L'ecumenismo ci apre a una mondializzazione del cuore e della mente per imparare a pregare in “simpatia”, in senso etimologico, con le gioie, i dolori, le speranze di tutta la comunità. È una proposta molto stimolante, se accolta nella sua intenzionalità e verità storica. Il tema ci aiuta a riscoprire il Dio della storia, un Dio con una mano che tocca, scrive, aiuta, accompagna. Una mano che è vittoria sugli avversari, ma che è anche protezione verso il suo popolo».
Nei giorni della settimana di preghiera il tema principale viene poi declinato in diverse sfaccettature che fanno emergere le povertà, i disagi delle chiese eredi di sottomissione, schiavizzate, possedute, denigrate dal potere forte delle nazioni che le hanno colonizzate e che spesso utilizzavano la bibbia per giustificare le nefandezze e l'assoggettamento. Il percorso nei sette giorni di preghiera infatti include temi sulla dignità umana, la schiavitù moderna, il traffico di esseri umani, la giustizia economica, la vita familiare. Il 18, in apertura della settimana, le letture bibliche sono concentrate sul tema “amate lo straniero come voi stessi, ricordatevi che anche voi siete stati stranieri”; il 19 è “non più uno schiavo, ma un fratello”; il 20 invece “il vostro corpo è tempio dello Spirito santo”; il 21 “speranze e guarigioni”; il 22 “sento le grida della figlia del mio popolo” e ancora il 23 “badate agli interessi degli altri”, il 24 “costruire la famiglia nelle case e nelle chiese” e infine il 25 “il Signore raduna i dispersi”.
La mano del Signore rialza chi cade, aiuta chi oggi subisce una schiavitù sessuale, protegge le famiglie e i bambini che possono essere vulnerabili di fronte alla violenza e a forze esterne. «Nella zona dei Caraibi questi fenomeni sono molto marcati: la violenza, la pornografia, il turismo sessuale, il debito economico che li rende sottomessi. L'ecumenismo delle chiese quest'anno fa i conti con una salvezza agonica che è lotta per la giustizia e per la dignità e si coniuga con la solidarietà, la compassione, la misericordia che non è spiritualistica, ma in cui il progetto di Dio diventa prassi di pace».
Il canto di Mosè e Miriam è un canto di trionfo sull'oppressione e insegna come la strada verso l'unità debba spesso passare attraverso prove di sofferenza e dolore.
«Fare i conti con l'ecumenismo – continua don Brusegan – non è solo fare i conti con una divisione dogmatica di alcuni aspetti dell'elaborazione del credere, ma è anche imparare dall'altro, acquisire dalle chiese “dei poveri” una istanza evangelica che noi abbiamo perso e dobbiamo recuperare urgentemente. Dobbiamo imparare a diventare ecumenici accogliendo occasioni dalle chiese altre. L'ecumenismo ha fatto grandi passi, ma ce ne sono ancora tanti altri da fare. Tra quelli già fatti, ad esempio a livello diocesano, è stato fondamentale il sintonizzarsi sui 500 anni della Riforma luterana, c'è stata una convergenza di forze e attenzioni, anche a livello editoriale che esprime il bisogno di cultura e di sapere della gente. Poi la nascita del Consiglio delle chiese cristiane di Padova è stato un altro passo importante, anche se è ancora agli inizi, ma esprime sinergia e intenti comunitari. Cresce la stima, la fraternità, la gioia di testimoniare l'unità dei cristiani, ma c'è anche necessità di conoscere. Importante poi è anche la collaborazione con l'ufficio scuola per le proposte formative e un maggiore coinvolgimento c'è stato anche con gli operatori delle comunità parrocchiali che richiedono incontri e percorsi attenti alla dimensione ecumenica e interreligiosa. Si percepisce, anche a livello di associazioni laiche, che il problema ecumenico è una esigenza culturale. Le religioni fanno parte della cultura e le persone si rendono conto della contraddizione fra affermazioni politiche o di pancia che denigrano l'altro e riducono la dignità umana e la frequentazione della chiesa, il messaggio del vangelo, le parole del Padre nostro. C'è il rischio di ridurre la fede a intimismo spiritualista incapace di leggere il divenire storico e offrire criteri intelligenti per la vita umana. Siamo abituati a pregare, pensare secondo le nostre abitudini, secondo i contesti in cui viviamo. Questo può andare bene fino a un certo punto, l'ecumenismo ci educa a uscire da quella porzione di mondo che esaurisce la nostra esperienza di fede e ci dà un angolo di visuale molto più ampio e arricchente».