A Natale la preghiera in fabbrica unisce oltre le parole
È freddo dentro all’azienda. Le macchine non hanno bisogno del riscaldamento e il sole di metà dicembre non basta a intiepidire gli ambienti, troppo grandi oggi per una legatoria di una trentina di dipendenti, ma che fino a qualche anno fa ne contava un centinaio, prima della tragica fine del titolare Giorgio Zanardi e del fallimento.
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Eppure il calore c’è, lo si avverte subito appena varcata la soglia di questa realtà produttiva in zona industriale a Padova, salvata da alcuni dipendenti che hanno scelto la strada della cooperativa per non rimanere senza lavoro dall’oggi al domani o “vivacchiare” sulle spalle degli ammortizzatori sociali, in attesa che la soluzione alla propria precaria situazione lavorativa arrivasse dall’alto.
Dopo aver riaperto i battenti con il nuovo assetto societario il 3 novembre 2014, la cooperativa veleggia sapendo che è la qualità del proprio lavoro artigiano e manuale che determina la differenza e che le permetterà di produrre per una nicchia di mercato – quella delle pubblicazioni di pregio – che continua ad avere bisogno di alte competenze.
Ma il calore va alimentato, va soffiato sul fuoco perché la fiamma arda più vivacemente, ed è per questo che prima di Natale Stefania Zanellato, che lavora in amministrazione, ha proposto a tutti i dipendenti un momento di preghiera condivisa insieme alle suore operaie che gestiscono la cappella intitolata a san Giuseppe lavoratore.
«Suor Francesca e suor Paola non sono nuove tra noi – racconta Stefania Zanellato – Passano a salutarci, a chiederci come stiamo e questo vuol dire molto perché non ci fa sentire soli; ci sentiamo accompagnati in quello che svolgiamo ogni giorno, nell’avventura in cui abbiamo deciso di credere e di spenderci. E abbiamo anche chiesto loro di invitare il vescovo Claudio che aspettiamo a braccia aperte, magari in occasione della festa del primo maggio».
Spenta la produzione per pochi minuti, il silenzio quel giorno è entrato alla Zanardi, ha concentrato l’atmosfera e ha avvolto i dipendenti che hanno deciso di partecipare alla preghiera. «Il momento più toccante – sottolinea l’amministratore delegato Mario Grillo – è stato quando ci siamo passati la statua del Bambino tra le mani. Sebbene non tutti vadano in chiesa o siano credenti, nessuno ha rifiutato di compiere questo gesto pieno di significato. Neppure Abdelaziz che viene dal Marocco e vuole sentirsi parte di questa azienda e di questo paese. Personalmente ho capito, una volta in più, che la preghiera non è divisione, anzi ci unisce perché abbiamo bisogno di sostegno, soprattutto quando dobbiamo prendere decisioni che non riguardano soltanto noi stessi. La cooperativa, nata sulle ceneri di una realtà drammatica, mette insieme, di fatto, dei sopravvissuti. Già questo aiuta di per sé, perché la motivazione che sta alla base del nostro lavoro è molto forte, ma spesso non basta e rischia di spegnersi».
Mario Grillo definisce il lavoro come «la peggior periferia del mondo d’oggi, perché in esso si rivelano tutte le contraddizioni dell’attualità, che si concentrano qui senza sconti. Il problema del lavoro è molto più drammatico, a mio parere, dell’immigrazione. Il rispetto delle persone viene sempre meno, come ha sottolineato spesso anche papa Francesco. Qui, alla Zip, siamo pieni di capannoni vuoti… la periferia, in cui il papa chiede di portare l’annuncio di Cristo, sta proprio qui dove di speranze ce ne sono gran poche per molti. Ciò che non si riesce a capire è che la finanza ha ormai fagocitato l’economia a tal punto da togliere valore al “fare”. L’esperienza, le competenze sono sparite dall’orizzonte degli imprenditori e dei dirigenti che pensano soltanto al costo di una risorsa umana. Ma la persona è, invece, risorsa su cui investire, perché l’incremento di produttività sta in questo modo diverso di trattare e considerare i lavoratori». È qui che si cela il successo. E la speranza.