Referendum costituzionale: cosa votano le suore?
In vista dell'appuntamento del prossimo autunno, oltre trecento religiose e madri generali si sono incontrate per partecipare al dibattito tra Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, e padre Francesco Occhetta, notista politico e scrittore de “La Civiltà Cattolica”.
Anche le suore votano.
E per prepararsi all’appuntamento referendario del prossimo autunno, quale occasione migliore di confrontarsi con due tra i maggiori esperti della materia?
Oltre trecento religiose e madri generali si sono radunate, a Roma, per partecipare al dibattito tra Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, e padre Francesco Occhetta, notista politico e scrittore de “La Civiltà Cattolica”.
Il tema all’ordine del giorno, non tanto consueto in certi ambienti, è stato proposto dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) d’intesa con l’Unione delle superiore maggiori d'Italia (Usmi), ovvero la platea più interessata alla materia. Un numero cospicuo se si tiene conto che le religiose, comprese quelle straniere, arrivano a lambire quota 90mila.
Dubbi. No, ma...
“La Costituzione non è intoccabile, non è una mummia che non può essere sbendata. Il problema è come lo si fa”, ha osservato Giovanni Maria Flick, ricordando che in settant’anni anni la Carta ha subito circa quaranta modifiche che, spesso, “hanno reso difficile ciò che era facile, attraverso ciò che è inutile”.
Per il giurista, è singolare che nel 1946 gli italiani si espressero in un Referendum che era chiaro per tutti e sancirono con il loro voto l’unità del Paese mentre adesso “il rischio è che la nazione si spacchi su questioni tecniche, soprattutto a causa della polarizzazione che i partiti hanno operato per tirare ciascuno acqua al proprio mulino”.
Flick cita Giovanni Giolitti, “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”, e aggiunge: “Oggi, quando non vanno bene, si cambiano”.
Due le questioni attinenti al Referendum sulle quali il giurista solleva dubbi: e modalità attraverso le quali si è deciso di modificare il Senato e il rapporto tra Stato e Regioni.
In realtà, ricorda, nel 2001 si è già realizzata una riforma del titolo V della Costituzione decentrando il potere: “Con la nuova norma, si passerà da un estremo all’altro con un eccesso di accentramento”.
Inoltre, sottolinea, “non accetto l’idea che i mercati e i loro rappresentanti vengano a spiegarci come funzionano i meccanismi della Costituzione. La sovranità appartiene al popolo, non all’ambasciatore degli Stati Uniti d’America o ai giornali finanziari”.
Alla riforma, che Flick chiama “Va dove ti porta il quorum”, il giurista non riconosce la capacità di semplificazione:
“Non temo una svolta autoritaria, questo Paese non ne è più in grado. Ma non si può sostituire un bicameralismo perfetto con un bicameralismo malfatto”. Per questo, conclude, “pur avendo obiettivi giusti, la riforma introduce una serie di errori che la rendono un’insalata russa andata a male”.
Opportunità. Sì, ma...
“Da cattolici percepiamo la Costituzione in due modi: come un testo sacro e intoccabile, o come una bussola che orienta il cammino di un popolo. Io scelgo la seconda categoria”.
Padre Francesco Occhetta riprende il filo del ragionamento da una prospettiva inversa eppure vicina. La seconda parte della Carta, quella oggetto della riforma, è nata debole perché “i costituenti si concentrarono sulla definizione e la tutela della dignità umana” delegando ai partiti il compito di attuarla.
D’altra parte, il bicameralismo perfetto fu sostenuto dallo stesso De Gasperi per arginare una possibile vittoria dei comunisti: “Pio XII era di uguale parere, tanto era il timore”.
Dal 2006 al 2016, ribadisce, "si sono susseguiti cinque governi per le riforme in un cammino stressante, iniziato dopo l’assassinio di Moro, che non è ancora arrivato alla meta”.
Dopo aver elencato i punti tecnici della riforma, p. Occhetta pone l'accento sulla dimensione temporale: “Sono riformista per vocazione. E a volte, quando si potano rami vecchi può crescere qualcosa di nuovo che va oltre le attese. Io ci scommetto. Quello della riforma è un autobus che ripasserà, se va bene, tra tre o quattro anni”.
P. Occhetta ritiene che la riforma sia
"un’opportunità per il Paese perché snellisce il rapporto con il Parlamento, riduce il numero di senatori e dà vita al Senato delle Autonomie che è anche una porta verso l’Europa, abolisce il Cnel, potenzia i controlli e gli strumenti di democrazia diretta in mano ai cittadini".
Il suggerimento è di valutare la coerenza e lo sviluppo costituzionale del testo, ponendo un'attenzione particolare al merito.
“Come mondo cattolico, bisogna riconoscere che non abbiamo dato una grande prova in questi anni né abbiamo prodotto una proposta concreta”.
Per il gesuita, è necessario “avviare processi e rilanciare una cultura costituzionale inclusiva”:
“Dobbiamo far diventare la riforma un punto di partenza, non un traguardo. Se vince il ‘sì’ sarà un segnale di fiducia per l’Europa. Non è un voto politico, in ballo c’è il futuro del Paese”.