Centri antiviolenza. Sostegno ridotto al lumicino
Col 1° agosto entra in vigore la convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (convenzione di Istanbul). Le associazioni chiedono maggiori finanziamenti pubblici, ma i soldi sono sempre meno. In Veneto, la regione dimezza gli stanziamenti.
Non è amore quello che spinge una donna maltrattata a lasciarsi annientare dal fidanzato, marito, compagno. È autostima a livello zero, umiliazione fino all’abbrutimento, in alcuni casi illusione mortifera di poter cambiare il partner. In altri rassegnazione per denunce rimaste senza seguito.
Un mancato ascolto di segnali di quelle tragedie annunciate che ormai riempiono quotidianamente le cronache e spesso feriscono mortalmente non solo le donne, ma anche i figli minori.
Secondo l’associazione “Telefono rosa”, nel 2013 i femminicidi in Italia sono stati 128, quasi tutti ad opera di familiari maschi, e per la prima volta si contano 15 vittime di età inferiore ai 15 anni.
Un’emergenza da contrastare con misure di prevenzione e formazione, ma soprattutto di sostegno ai centri antiviolenza che offrono servizi gratuiti di consulenza psicologica, sanitaria e legale, e nei casi più gravi, strutture di accoglienza ad indirizzo segreto dove donne e minori possono trovare protezione.
Dal 2006 è attivo il numero verde antiviolenza 1522 ma, ad un anno dall’approvazione della legge sul femminicidio e in contemporanea con l’entrata in vigore, il 1° agosto, della convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (convenzione di Istanbul), il sostegno ai centri antiviolenza appare in serio pericolo.
Seimila euro in due anni
Secondo l’associazione nazionale “Donne in rete contro la violenza” (Dire), sono oltre 300 i centri nel nostro paese – 66 dei quali gestiti da Dire – di cui 60 hanno a disposizione una “casa di fuga”.
Sulla loro testa pende però la spada di Damocle della modalità di riparto dei fondi, decisa in Conferenza stato regioni e resa nota nei giorni scorsi, del piano di intervento di 17 milioni previsto per gli anni 2013/2014 dalla L. 119/2013 contro il femminicidio.
In estrema sintesi, di questi 17 milioni meno di 3 verrebbero destinati ai centri già attivi, mentre i restanti 14 verrebbero stanziati per finanziare progetti sulla base di bandi. «Ad ogni centro – spiega Titti Carrano, presidente di Dire – andranno effettivamente solo 6 mila euro in due anni, meno di niente». L’associazione chiede maggiore chiarezza e una mappatura aggiornata dei centri e delle loro effettive competenze.
Veneto, la regione dimezza i fondi
Preoccupata anche Patrizia Zantedeschi, coordinatrice del Centro veneto progetto donna, onlus padovana che dal 1990 accoglie donne vittime di maltrattamento, familiare e non, spesso con figli minori, offrendo loro ascolto e supporto psicologico e legale.
«Nel 2013 – racconta – sono state 720 le donne che ci hanno contattato, e 500 nei soli primi sette mesi del 2014». Il centro gestisce anche la casa di fuga del comune di Padova, struttura protetta a indirizzo segreto per donne e minori in pericolo.
«La legge 119/2013 – sottolinea – impone alle forze dell’ordine e ai pronto soccorso di indicare alle vittime i centri e le case cui rivolgersi. Riconosce l’importanza del nostro lavoro ma non lo sostiene». In Italia, chiosa, questo problema «è stato fino ad ora di quasi esclusivo appannaggio di centri come i nostri che lavorando per anni hanno portato avanti una battaglia finalmente sfociata in una legge e, forse, in una nuova attenzione al fenomeno».
Eppure, avverte entrando nello specifico del territorio, «la regione Veneto dimezza i fondi prevedendo per il 2014 meno di 200 mila euro a fronte dei 400 mila stanziati nel 2013». È così a rischio il consolidamento della rete d’interventi.
Al Sud
A Reggio Calabria il Centro italiano femminile (Cif) regionale ha attivato dal 2007 un centro d’ascolto collegato al numero verde nazionale 1522, e la struttura d’accoglienza “Casa della donna Madonna di Lourdes” che attualmente ospita quattro donne e un bambino.
La casa, spiega Giovanna Ferrara, presidente regionale e responsabile dei servizi sociali Cif, è nata a seguito di una “tragedia annunciata”: la morte nel 2007 della madre di due figli, uno dei quali disabile, uccisa dal marito dopo sistematiche denunce alle forze dell’ordine rimaste inascoltate.
Le donne che denunciano e si rivolgono al centro antiviolenza, dice, «sono in altissima percentuale straniere, soprattutto dell’Europa dell’Est. Le italiane qui sono più reticenti, forse per paura». La struttura non gode di alcun contributo pubblico: «Abbiamo un centro di riabilitazione per disabili nel quale il personale amministrativo offre i propri servizi a titolo gratuito. Ci autofinanziamo con gli avanzi di gestione».