Santissimo Corpo e Sangue di Cristo *Domenica 2 giugno 2024

Marco 14,12-16.22

Santissimo  Corpo e Sangue di Cristo *Domenica 2 giugno 2024

Il primo giorno degli àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».

I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

C’è dell’imbarazzo questa domenica tra i discepoli. Si avvicina la Pasqua e Gesù non ha ancora detto dove la vuole celebrare. È mai possibile? A costo di prendersi dei rimproveri, glielo chiedono: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12). Non c’è problema, risponde Gesù: «Andate in città, vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi» (14,13.15)

È bravissimo Gesù a far emergere
dai suoi il desiderio che lui coltiva da sempre. È un’arte che conosceva anche Mosè. Di continuo, infatti, fermava i passi degli ebrei in fuga nel deserto e chiedeva loro se ci credevano per davvero a quello che stavano facendo. E il popolo ogni volta rispondeva «a una sola voce:
“Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!”» (Es 24,3).
Ne siete proprio sicuri? Quante volte gli avete girato le spalle! 

Allora «Mosè scrisse tutte le parole del Signore» (24,4). Un documento è molto di più di un fiato. Ma perché non aggiungerci, poi, sopra anche una benedizione? E così Mosè, «si alzò di buon mattino ed eresse un altare. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Quindi, Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”» (24,4-7). È il massimo del rinforzo che Mosè riesce a dare alla Parola di Dio. A garanzia di tutte le paure!

E Gesù fa altrettanto con i suoi discepoli, «al piano superiore nella grande sala»! Infatti, «mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». È il rito di sempre, quello consacrato dalla tradizione, ma Gesù, come Mosè, vi aggiunge qualcosa di suo: “Prendete, questo è il mio corpo”» (Mc 14,22). Cos’è? Una libertà, che Gesù si prende sul vecchio rito? No! molto di più, come quando diceva: «Avete sentito che fu detto agli antichi… ma io vi dico…». È molto di più, ma sempre in linea con il vecchio rito: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta – recita, infatti, un passo biblico – un corpo mi hai preparato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,4-7)

Passa di qua la novità che Gesù porta
alla Pasqua antica. Sull’altare della preghiera, infatti, non mette solo parole e riti antichi. Ci mette il proprio corpo, pane che sazia chi ha fame di amore, manna che nutre chi abita la stessa tenda, miracolo che illumina la notte, rugiada del mattino che ridà vita a chi ha il cuore di pietra. 

È un’arte che viene naturale solo a chi ama. Infatti, «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Lo dice anche Paolo ai cristiani di Tessalonica: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari» (1Ts 2,7-8). Comportarci così non è affatto un sacrificio di privazione, ma è il modo più vero di fare sacro tutto ciò che si è e si fa.

È talmente forte quest’arte che Gesù ne fa subito il raddoppio! Infatti, «poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”» (Mc 14,23). Attenzione, il sangue, su cui Gesù scommette il suo giuramento, non è più quello dei giovenchi, ma il suo sangue. È così che Cristo diventa l’agnello sgozzato, il cui sangue, segnato stavolta sulla croce, rompe la schiavitù d’Egitto, aprendo a tutti la strada di casa. È sangue di libertà il sangue di Cristo, vino di vertigini, energia pura che ci fa camminare dentro tutti i deserti con canti di gioia. «Alzerò il calice della salvezza – canta il salmo – Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: tu hai spezzato le mie catene» (Sal 115,4.7).  

Nel duomo di Lucca c’è una bellissima tela di Tintoretto. È un’Ultima Cena, tema che il pittore ha ripreso più volte e in diverse maniere. Qui è un cortocircuito che mette insieme cielo e terra in un girotondo di amore infinito. Il bianco della tavola imbandita taglia di traverso la scena salendo da sinistra a destra, ma è scendendo sempre da sinistra a destra che son disposti i protagonisti del quadro. In alto troviamo Gesù che sta dando la comunione a Pietro, in basso Giuda che, scuro in volto, sta andandosene via, ma in primo piano a destra in basso Tintoretto ha messo una mamma che sta allattando il suo bambino di pochi mesi. Un’aggiunta poetica? Di più! Nell’Eucaristia Gesù si fa mamma che nutre del suo corpo noi, che senza quel latte non potremmo vivere un istante. È con questa immagine domestica che Tintoretto conferma che oggi Cristo con il suo corpo e il suo sangue è diventato il «sommo sacerdote dei beni futuri, ottenendo una redenzione eterna» (Eb 9,11-12). A noi farne «memoria» nei termini più quotidiani. Come? «Vi esorto, dunque, fratelli – ci torna a chiedere Paolo – per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Di più, infatti, non si può!

frate Silenzio

Sorella allodola

Ogni vera andata è sempre senza ritorno!

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