Lupin chiama lo scacco matto. Su Netflix dall’11 giugno la seconda parte della serie evento “Lupin” con Omar Sy
Finale di stagione ad alta tensione, tra action, sorprese e battute brillanti.
Il fascino di Lupin. È stato il successo di inizio 2021 per la piattaforma Netflix. Parliamo di “Lupin”, serie evento trasmessa con furbizia dal colosso in streaming in due parti: i primi 5 episodi a gennaio, mentre i secondi 5 da metà giugno. Prima di entrare nelle maglie della serie, vale la pena tirare le somme sull’operazione. Il gruppo Gaumont e Netflix hanno infatti rimesso in pista con acume il mito del ladro gentiluomo uscito dalla penna di Maurice Leblanc, Arsène Lupin. Chiaro è il modello di riferimento che conduce Oltremanica, ossia l’operazione fatta già con Sherlock Holmes nella formula “Sherlock” (2010-17) targato BBC, ossia il recupero di personaggi e trame ottocentesche attualizzandoli all’oggi. Risultato: un racconto avvincente, marcato da un’ironia brillante, quando non vero e proprio sarcasmo, senza mai inciampare in banalità. E se in “Sherlock” larga parte del successo si deve al team di ideatori e interpreti, in testa Benedict Cumberbatch, in “Lupin” a guidare l’operazione è principalmente Omar Sy, che traghetta un buon prodotto verso la frontiera del piccolo cult.
Affari di famiglia. La prima parte di “Lupin” ci aveva lasciato con il fiato sospeso, con il rapimento del figlio adolescente di Assane, Raoul, per mano di un sicario del magnate Hubert Pellegrini (Hervé Pierre). Contando sull’inaspettato aiuto dell’agente Guedira (Soufiane Guerrab), oltre che dell’amico d’infanzia Benjamin (Antoine Gouy), Assane orchestra un piano per giungere finalmente alla resa dei conti con Pellegrini.
Pros&Cons. Qualche timore iniziale c’era per l’epilogo di “Lupin”: il rischio di assistere a un’operazione furba (dal punto di vista della programmazione), seducente, ma segnata da poca sostanza. Invece i 5 nuovi episodi della serie dimostrano valore e senso. Il rapimento del giovane Raoul è infatti un chiaro spartiacque tra le due parti, rendendo la prima di fatto introduttiva, chiamata a raccontare le origini di Lupin e il trauma della sua infanzia, la misteriosa morte del genitore Babakar (Fargass Assandé); la seconda vira totalmente nell’azione, con la messa a punto della “vendetta”, dello scacco matto, di Assane verso Pellegrini. Una serrata partita a scacchi dove il ladro gentiluomo sembra persino deragliare; un gioco di illusioni e apparenze, in verità, che depistano lo spettatore e contestualmente consolidano l’indubbio fascino di Lupin. Plauso quindi alla regia e agli sceneggiatori per la tenuta e la compattezza del racconto, coniugando action, giallo e commedia brillante. Ad ancorare il successo di “Lupin” è un convincente Omar Sy, ben corroborato da comprimari di livello come Soufiane Guerrab, Antoine Gouy, Ludivine Sagnier e Clotilde Hesme. Sonori applausi, in attesa di nuove puntate… sì di “Lupin”, ma anche di “Sherlock”!