Volontari di quartiere. Non solo nuove forze, servono “connessioni”
È questo uno dei risultati della ricerca promossa dal Csv di Padova e Rovigo “Volontariato di quartiere. Durante l’emergenza Covid-19” condotta dal Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova sotto la guida di Massimo Santinello, docente di Psicologia Sociale e di Comunità
Prima ancora che nuovi volontari, c'è bisogno di “mettere in comunicazione realtà già attive e presenti sul territorio”. È questa una delle conclusioni a cui è giunta la ricerca “Volontariato di quartiere. Durante l’emergenza Covid-19” condotta dal Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova sotto la guida di Massimo Santinello, docente di Psicologia Sociale e di Comunità. La ricerca è parte di una serie di indagini sul volontariato promosse dal Csv di Padova in sinergia con l’Università degli Studi di Padova in occasione dell’anno da Capitale europea del volontariato. L'ultima indagine è frutto dell'ultima fase di ricerca svolta tra aprile e maggio 2021 con un questionario somministrato ai volontari, alcune interviste strutturate alle associazioni e ai referenti del Csv coinvolti nel progetto. Il focus della ricerca riguarda quanti si sono attivati da novembre 2020, a seguito della nuova ondata di contagi, con il progetto “Per Padova noi ci siamo, ancora” gestito in sinergia tra il Comune, la diocesi e il Csv di Padova. Un progetto nato sulla scia del precedente avviato proprio durante il primo lockdown per far fronte alle criticità dovute alla pandemia. In questa seconda fase sono state 70 le associazioni che insieme alle Consulte di Quartiere, hanno dato la disponibilità a intervenire nei quartieri della città.
“La centralità del quartiere era già emersa durante la prima ricerca sul progetto “Per Padova noi ci siamo” durante il primo lockdown - spiega la ricerca -, così si è pensato di puntare su “attivatori di quartiere” per promuovere l’attivazione di piccole reti di solidarietà nella città”.La ricerca ha permesso di verificare le esperienze di volontariato realizzate e se le aspettative dei volontari sono state soddisfatte. Alla ricerca hanno partecipato 47 persone, pari al 42,7% dei volontari che hanno dato la disponibilità alla seconda fare di intervento. Sempre 47 è l’età media dei partecipanti con una fascia d’età che va dai 21 ai 73 anni. Le donne sono le più numerose (74,5%). La maggior parte dei partecipanti, poi, possiede una laurea (oltre il 55%) e la maggior parte dei volontari ha un’occupazione (57,4%). Per quanto riguarda l’attività di volontario, quasi la metà dei partecipanti (il 40,4%) stava già svolgendo volontariato in modo continuativo al momento della compilazione del questionario. Solo il 25,5% stava svolgendo volontariato episodico. Tuttavia, il 19,1% non ha alcuna esperienza di volontariato alle spalle. Secondo quanto emerge dai questionari, la maggior parte dei volontari intervistati dice di aver dato la propria disponibilità per esprimere i propri valori, acquisire nuove competenze e pensare agli altri. Il 34% di volontari coinvolti, inoltre, dichiara che questa esperienza ha permesso loro di apprezzare di più il valore della propria vita, mentre il 36% indica di sentir maggior vicinanza con le persone. Dalla ricerca emergono anche altri aspetti interessanti.
“Alla seconda fase della ricerca hanno partecipato 107 persone, di cui il 67,3% non era ancora stato contattato e solo 8 persone hanno completato sia il primo che il secondo questionario - si legge nel report -. Questo dato limita la possibilità di fare considerazioni sull’esperienza in relazione alle variabili indagate nella prima fase della ricerca. Inoltre, mette in luce come la maggior parte delle persone che si erano attivate per il progetto non abbiano poi partecipato alla vita e alle attività delle associazioni”. Dal punto di vista delle associazioni e del Csv, invece, il risultato maggiore è stato “mettere in relazione e connessione realtà presenti nello stesso territorio, più che arruolare nuovi volontari e volontarie”. Come confermato dal Csv, “il progetto ha permesso di far conoscere e mettere in rete realtà diverse, anche spontanee e formali, presenti nello stesso quartiere e la guida elaborata dal Csv ha potuto raccogliere tutte le iniziative in un unico documento”. Se nella prima fase della pandemia, quindi, il bisogno principale sembrava essere quello di coinvolgere nuovi volontari, da questa ulteriore analisi emerge con forza la necessità di “mettere in comunicazione realtà già attive e presenti sul territorio”.