Vite parallele tra Islam e Occidente: Francesca Bocca-Aldaqre presenta il suo nuovo libro
Una sintonia armonica oltre lo spartito della stereotipata dissonanza. Un pensiero affratellato, al contrario della dittatura ideologica. Linee parallele (filosofiche, letterarie, religiose) che s’incontrano, a dispetto di Euclide. Islam e Occidente si rivelano come gioco di specchi.
Francesca Bocca-Aldaqre - giovane teologa che dirige l’Istituto di studi islamici Averroè a Piacenza e insegna all’Università San Raffaele e alla Società Umanitaria - lo aveva già dimostrato con la puntuale rilettura del “Divano” di Goethe alla luce di un inedito lavoro d’archivio.
Ora torna in libreria con l’originale saggio Nietzsche in paradiso. Vite parallele tra Islam e Occidente (Mimesis, pagine 108, euro 10) che è stato discusso in anteprima all’Università degli studi internazionali di Roma con Marino Freschi,emerito di Letteratura tedesca, e Angelo Iacovella, docente di Lingua e letteratura araba.
«Il libro nasce dall’intuizione di un fatto: Oriente e Occidente non sono in guerra per la modernità. Se mai, vanno ricomposti in una totalità altra perché a ben vedere c’è un barlume, uno scintillio, un sentiero. Talvolta l’Islam
intuisce l’Occidente, altre volte è l’uomo occidentale a spiegare il musulmano.
I due, spesso, convergono senza nesso di causa ed effetto. È naturale, essendo il pensiero uno soltanto. Le coppie di personaggi che sostengono ogni capitolo vanno compresi come frammenti di un’entità del pensiero da tanto tempo disconosciuta e frantumata» esordisce Francesca Bocca- Aldaqre.
Si comincia con il personaggio Ḥayy ibn Yaqẓān che diventerà Robinson Crusoe, ma poi irrompe subito Nietzsche...
L’Islam nella sua ultima produzione gli serve come specchio. Di qui la proposta di una rilettura positiva e autentica di Nietzsche, intrecciandola con Muḥammad Iqbal che lo mette in cielo insieme ai sufi. E’ una storia di due contemporanei che riprende e rielabora il pensiero potente dell’ “oltre uomo”. Nietzsche era affascinato dall’Islam come religione “maschile” e pensiero nobile. Ci sono gli auspici affinché l’Islam contemporaneo riprenda le vette dell’Occidente in modo nuovo e creativo.
Forse, il cuore pulsante del saggio si scopre nella “fiaba russa” dello scrittore e dell’imam?
Lev Tolstoj scrive a cavallo del Novecento il romanzo “Chadži-Murat”, pubblicato postumo. Racconta il Caucaso dell’imam Shamīl, il santo che è l’incubo dei conquistatori russi. Una guida carismatica che affascina il giornalismo d’attualità a Mosca. Tolstoj, ascetico e spirituale nella sua parabola teologica, ha un guizzo letterario nel descrivere la preghiera di Shamīl con un’immagine che non siamo abituati ad associare alla Russia. E il cerchio della fertile spiritualità islamica si chiude nel 1958 a Brooklyn, quando l’ultimo Lubavitcher Rebbe canta ai suoi studenti una melodia che non appartiene alla tradizione chassidica. E’ la stessa che nel 1970, nella scoperta di Shamīl, farà commuovere il giovane direttore d’orchestra Leonard Bernstein.
Insomma, oltre le suggestioni ritorna la forza della filosofia che accompagna la vita insieme alla fede?
Se qualcosa non si fa vita, devo confessare che non mi interessa. Coltivo l’entusiasmo della narrazione di uomini che hanno fatto avanzare il pensiero.
In un percorso che insegue i testi, le voci, la poetica e le idee al di là dell’accademia e ben distante dall’ideologia. Del resto, l’Islam non è mai una pratica intellettuale, ma di vita. E’ così anche in letteratura, fin dal ‘200 solo per citare alāl al-Dīn Muḥammad Balkhī più conosciuto come Rūmī. Il poeta mistico che, anche geograficamente, unisce Afghanistan e Persia in una tensione ultima verso un’entità più alta.