Tra porpora e poesia. Quando i libri rivelano il cuore dietro gli impegni istituzionali e l’incontro con la vera poesia
Le novità di aprile in libreria.
Sedici anni di presidenza della Conferenza episcopale italiana, il Vicariato per la diocesi di Roma e la guida di importanti comitati e progetti culturali sono un’esperienza unica, che i giornali non si sono fatti sfuggire: ed ora è possibile rileggere le interviste che il cardinale Camillo Ruini ha concesso alle più importanti testate italiane a partire dal 2009 in “Conversazioni sulla fede e sull’Italia”. Una pubblicazione che riesce a darci in una sintesi delle problematiche più stringenti che hanno attraversato il nostro paese e il mondo occidentale in questi ultimi anni, dal caso Englaro fino alla attuale pandemia. Quello che colpisce di più del libro è il rifiuto degli schematismi, bianco e nero, anzi, rosso, bianco e nero, destra e sinistra, in uno sforzo di comprensione profonda dello spirito del tempo. Ma nello stesso tempo guardando questo spirito da una prospettiva precisa: lo sguardo cristiano sulle cose del mondo. Con Aldo Cazzullo, Sandro Magister, Francesco Verderame, Massimo Franco e Matteo Matzuzzi si apre così un dialogo profondo, dalla eutanasia al berlusconismo passando per il terrorismo di matrice islamista e molto altro. Ne emerge la libertà di chiamare le cose per nome e di pronunciarsi senza ipocrisie sulla politica, come quando il cardinale confessa di aver votato no al referendum sul taglio dei parlamentari -“un successo del desiderio, comprensibile ma ingenuo, di ridurre i costi della politica”- e di preferire il maggioritario (“tra i pochi progressi della Seconda Repubblica”) e quando sottolinea l’impermanenza di ideologie che al momento in cui si affacciano nel gran teatro del mondo sembrano eterne e che invece sono destinate a dissolversi con il fallimento della loro concretizzazione storica. Un libro che parla anche della Risurrezione e della vita dopo la morte, della fede, dell’amore per gli altri, e dei pontefici che Ruini ha conosciuto direttamente, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco: un affresco in uno spazio breve, tra le campiture di una grande basilica che si chiama storia, e non solo quella della Chiesa.
Camillo Ruini, “Conversazioni sulla fede e sull’Italia”, Rubbettino, 2021, 83 pagine, euro 14.
Un libro da leggere attentamente, questo “Le radici di una vocazione” di Quinto Cappelli, perché non è solo il ripercorrere insieme al lettore la strada che ha portato il cardinale Gualtiero Bassetti alla presidenza della Cei attraverso la guida di due sacerdoti fondamentali: don Pietro Poggiolini, o meglio, il Priore, per l’inizio di questo percorso a Popolano e don Giovanni Cavini, a Fantino, dove la famiglia Bassetti andò ad abitare nel 1945, per l’indirizzo agli studi e al seminario. È qualcosa di più, perché a 6 chilometri di distanza da Fantino, nella Toscana che condivide gli orizzonti montani e una parte di storia con la Romagna, c’è Marradi, che non è solo il comune di riferimento per quella zona, ma il luogo che ha dato i natali a Dino Campana, uno dei più grandi, -se non il più grande-, poeti del novecento italiano. La strada del poeta nomade, ritenuto matto da legare, amante della solitudine e del sogno ad occhi aperti, autore di un assoluto capolavoro come i “Canti Orfici”, si incontra con quella di del Priore, perché don Pietro fu tra i pochi a capirne subito la grandezza, cosa non facile in anni in cui imperava la triade Ungaretti-Quasimodo-Montale e a farlo conoscere con scritti, conferenze e interviste, soprattutto quella concessa a Sergio Zavoli nel 1954. Ma non solo la poesia: la strada dei due sacerdoti, qui ricostruita con una ricchissima documentazione, si intreccerà anche con quella di don Milani e di Barbiana, esperienza allora vista con sospetto dalle gerarchie ecclesiali, e anche con un comunismo rurale visto dalla povera gente come uno dei pochi modi di rivendicare una dignità di vita e quindi in “concorrenza” con l’azione di quei parroci che affrontavano spostamenti a piedi e piuttosto pericolosi per celebrare i sacramenti e per stare vicino a gente abbandonata da un’Italia in cui iniziava la lunga e perigliosa strada del benessere. I commossi ricordi del cardinal Bassetti e la sua diretta testimonianza del passaggio nella sofferenza e perciò nella profonda condivisione del dolore, offrono un quadro suggestivo di una vocazione all’aiuto verso l’altro, maturata non nelle ideologie, ma sul campo e con la guida di due sacerdoti che hanno indicato con il loro esempio fattivo quella strada, al di là di teorie e delle belle parole.
Quinto Cappelli, “Le radici di una vocazione”, San Paolo, 2021, 388 pagine, 20 euro. Con una presentazione di mons. Erio Castellucci, prefazione del card. Gualtiero Bassetti.
Un libro di poesia oggi rappresenta più di un rischio, da quello dell’inflazione a quello del sentimentalismo e dell’autoreferenzialità. Antonietta Gnerre sfugge a questi pericoli: nel suo recente “Quello che non so di me” il verso si avvia su altre strade, indicate da grandi “esploratori” che hanno mostrato la via (Dickinson, Bonnefoy, Cristina Campo): l’attenzione non più all’io querulo, ma allo sguardo sull’altro. Non un altro deterministico e distaccato, ma una natura -e un cosmo come vita pulsante- che entra panicamente in quelli che sono veri e propri lampi visionari ma nello stesso tempo realistici: già Pascoli ci aveva ammonito a guardare bene, come i fanciulli, al mistero e alla bellezza del piccolo fiore che ci appare sul ciglio della strada, invece di porci, -anche lo scettico Schopenhauer ci aveva messo in guardia-, sempre nuovi e spesso inutili e fuorvianti obiettivi. In queste poesie regna sovrana la comunione, di volta in volta realizzata nell’epifania dell’attimo che tutto salva perché a tutto dà misteriosamente un senso, o attraverso il ricordo, il rimpianto o la percezione della circolarità, mai uguale a se stessa, dell’esistenza. La natura è il cuore cosmico, l’asilo insostituibile, e indicibile se non attraverso la vera poesia, la “montagna dove riposano le ombre dei lupi”, con esiti che ricordano altri narratori di quella comunione, come il Landolfi di “La pietra lunare”: una comunione che crea presenze, ristabilisce contatti con il passato e il futuro. Momenti di rivelazione profonda e di religioso sì al creato (“le labbra benedicono la terra appena nata”), di riemersione di presenze non distrutte dalla morte, l’improvvisa, abissale comprensione del senso dalla piccola visione nel quotidiano (“la luce che arriva dalle persiane/ tra i nomi delle formiche”) sono gli elementi più interessanti, e innovativi, di una silloge che riappacifica con il cuore della poesia.
Antonietta Gnerre, “Quello che non so di me”, Interno Poesia, 2021, 92 pagine, 11 euro. Prefazione di Alessandro Zaccuri.